Sono felice persino il lunedì mattina…

Salvo Coletta, patologo clinico a Catania, dagli anni universitari soprannumerario dell’Opus Dei, racconta la sua esperienza di oltre 38 anni di vocazione.

Mi piace pensare che san Josemaría abbia pensato anche a me quando scriveva il punto 277 di Cammino: "Mi domandi: perché quella croce di legno? E trascrivo da una lettera: “Sollevando il capo dal microscopio, lo sguardo incontra la croce nera e vuota. Questa croce senza Crocefisso è un simbolo. Ha un significato che gli altri non vedranno E chi, stanco, era sul punto di abbandonare il lavoro, torna ad avvicinare gli occhi all'oculare e continua a lavorare: perché la croce solitaria sta chiedendo spalle che se la carichino".

Svolgo la mia professione medica nel laboratorio di analisi di una Azienda sanitaria della mia città, Catania. Ero già un fedele della Prelatura quando, ormai tanti anni fa, entravo per la prima volta nel laboratorio e da allora quegli ambienti, quegli strumenti di lavoro, quell'attività professionale sono diventati il mio mezzo di santificazione, il mio stare con Dio, perché, grazie alla mia vocazione e alla formazione ricevuta dalla direzione spirituale nell'Opus Dei ho scoperto,strada facendo, che, cercando di lavorare in maniera impeccabile, ponendo sempre "l'ultima pietra" non facevo altro che pregare Dio: Gli offrivo il sacrificio di Abele.

La mia “storia” mi è sempre parsa assolutamente normale: un collega di medicina mi portò al centro dell’Opus Dei di Catania e piano piano – pur essendo stato sempre un cattolico “normale” – ho scoperto che ero molto di più: un figlio di Dio. E che potevo cercare di vivere la mia vita sempre accanto a Lui, nella normalità quotidiana.

Ho avuto un grande sostegno da mia moglie e dalla mia famiglia: nessuno di loro è dell’Opus Dei, ma stimano molto l’Opera e rispettano con grande delicatezza la mia vocazione.

Certo è stato un po' complicato all'inizio pensare di santificarmi in mezzo alle provette,e alle inevitabili contrarietà personali e professionali, ma la speranza di riuscirci mi ha sempre sostenuto. Adesso sono più di 30 anni che lavoro in quel laboratorio: ho visto passare accanto a me primari, colleghi, tecnici, tirocinanti: sono riuscito a essere amico sincero di tutti e sono stato ricambiato; so di essere stimato per la mia professionalità e per quel "quid" che riesco a dare all'ambiente. Molti colleghi erano lontanissimi dalla fede, ma hanno avuto un sincero rispetto per le mie scelte di vita e per la mia vocazione e ciò è servito per parlare loro spesso di Dio.

Il mio apostolato non si limita ai colleghi: nel corso degli anni ho incontrato e conosciuto tante persone, di tutte le età e professioni, e – a costo di macchiarmi di superbia – mi illudo di essere stato strumento del Signore per riavvicinarli alla fede o per aiutarli a vivere un cristianesimo più convinto e fervente. In ordine di tempo, gli ultimi sono stati un giovanissimo cinquantenne che ha già scoperto la sua vocazione all’Opus Dei e un giovane universitario che è avviato sulla stessa strada e per il quale sto pregando con particolare intensità.

Intorno a me in questi anni duri sento anche parlare di scoraggiamento, di stanchezza,di delusioni. Io so di aver ricevuto dalla mia vocazione tanti doni stupendi ma ce n'è uno di cui vado fiero e di cui tutti sono un po' – spero sanamente – “invidiosi”: è facile essere contenti quando si va in ferie o arriva il fine settimana o qualche ponte festivo, ma io lo sono sempre soprattutto il lunedì mattina quando tutti mi appaiono e sono… un po' depressi; io sono contento, perché mi aspetta una "ordinaria" settimana di lavoro cioè una meravigliosa quotidianità da vivere accanto al mio Dio.