Lettera n. 29 di san Josemaría Escrivá, sulla missione dell’opera di San Gabriele nell’evangelizzazione del mondo e nella promozione della santità dei fedeli laici

Pubblichiamo la Lettera n. 29 di san Josemaría, datata 9 gennaio 1959 e stampata per la prima volta nel gennaio del 1966. L'edizione di questa lettera, il cui titolo esteso è "Sull’opera di san Gabriele: la vocazione dei soprannumerari e la loro missione nella santificazione del mondo e della vita matrimoniale e famigliare", è stata curata da Luis Cano per l'Istituto Storico San Josemaría Escrivá. La traduzione in italiano è di Giacomo Franchi.

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Introduzione, a cura di Luis Cano

Nel 2020, la Collana delle Opere Complete edita dall’Istituto Storico San Josemaría Escrivá ha iniziato a pubblicare il complesso delle Lettere che il fondatore dell’Opus Dei scrisse, nel corso della sua vita, per trattare di aspetti centrali del carisma e della storia dell’istituzione. Sono stati pubblicati due volumi, che comprendono otto Lettere. Quella che presentiamo è una uscita anticipata rispetto al programma editoriale, con le medesime caratteristiche formali di quelle date alle stampe finora in lingua italiana[1].

Sono documenti che raccolgono un pensiero maturo del Fondatore su molteplici temi e ai quali egli diede forma definitiva nei suoi ultimi anni di vita. Le intitolò Lettere, in corsivo, perché non facevano parte del suo epistolario ma costituivano un genere a sé ed erano missive destinate ai suoi figli spirituali di ogni tempo, nelle quali voleva mantenere con loro, mediante la parola scritta, una conversazione simile a quella di una tertulia. Le tertulias, per come le intendeva san Josemaría, erano e sono per i membri dell’Opus Dei un momento di vita familiare, di comunione e di distensione, di formazione e persino di preghiera. Una Lettera pertanto non è una sorta di trattato, anche quando ha carattere monografico, come questa, che ha per argomento l’opera di san Gabriele, uno dei settori apostolici in cui si sviluppa l’attività pastorale e di evangelizzazione dell’Opus Dei.

La traduzione italiana della Lettera n.29 dipende dall’edizione critica spagnola, che intende offrire agli studiosi e a qualunque lettore interessato un testo sicuro sul quale lavorare o meditare. Come per le altre Lettere già pubblicate, non si è voluta fare un’edizione ampiamente commentata, riducendo le note al minimo indispensabile, per non distrarre il lettore e dare rilievo al testo, finora inedito e in gran parte sconosciuto anche a molti membri dell’Opus Dei. Le note servono a chiarire gli aspetti che, a giudizio dell’editore, potrebbero non essere di immediata comprensione per tutti, o per contestualizzare affermazioni che sessanta o più anni fa potevano avere un significato molto diverso da quello attuale, per ragioni di distanza temporale o di evoluzione semantica. Il compito di commentare e approfondire questi testi o di realizzarne l’esegesi teologico-spirituale è lasciato quindi agli specialisti che desiderino farlo, poiché, come abbiamo detto, non è la missione della presente edizione.

Contesto e storia della Lettera n. 29

Non abbiamo notizie circa il processo redazionale di questa Lettera, pubblicata dalla tipografia condotta da donne dell’Opera a Villa Sacchetti nel gennaio 1966, assieme ad altri quattordici testi analoghi che trattano di diversi argomenti: umiltà, missione apostolica dei membri dell’Opus Dei nel mondo, santificazione del lavoro, itinerario giuridico dell’Opera, apostolato nel settore dell’insegnamento, i sacerdoti nell’Opus Dei, l’opera di san Michele, ecc.

La data apposta dall’autore (9 gennaio 1959) è senz’altro prossima al momento della redazione del testo ma non è possibile fare ulteriori precisazioni temporali sul lavoro di composizione da parte di san Josemaría. Una volta stampata, fu inviata a diversi paesi il 21 gennaio 1966[2].

San Josemaría aveva trattato diffusamente il tema nel 1950, quando aveva scritto l’Istruzione sull’opera di san Gabriele, la sua quarta e ultima, iniziata nel 1935[3]. Nel 1950 l’Opus Dei aveva ricevuto l’approvazione definitiva delle Costituzioni, dove la figura dei soprannumerari era delineata piuttosto in dettaglio, sostanzialmente come la conosciamo oggi. La loro vocazione alla santità e all’apostolato in mezzo al mondo, gli impegni formativi individuali e collettivi, la pratica delle virtù e la vita di preghiera, la chiamata a illuminare tutte le nobili realtà terrene con la luce di Cristo erano illustrati nelle Costituzioni con le medesime caratteristiche che si possono riscontare attualmente nella vita di migliaia di soprannumerari, sposati o meno.

In realtà, quasi tutto ciò che si trova nelle Costituzioni del 1950 a proposito dei soprannumerari era stato aggiunto due anni prima, con una significativa riforma degli statuti dell’Opus Dei che il Fondatore aveva presentato il 2 febbraio 1948 e la Santa Sede approvato il 18 marzo del medesimo anno. Fino a quel momento le disposizioni statutarie susseguitesi (1941, 1943 e 1947) avevano trattato in maniera minimalista la figura dei soprannumerari, per diversi motivi ma, fondamentalmente, perché non era stato possibile prestare loro la necessaria attenzione da parte dell’Opera, come lo stesso san Josemaría riconosceva[4]. Lo sviluppo dell’Opus Dei, la possibilità di contare su sacerdoti in esso incardinati e su membri sufficientemente formati e maturi per occuparsi di questo settore, assieme all’approvazione del 1947, cambiarono la prospettiva: il Fondatore considerò ormai giunto il momento tanto atteso di sviluppare tutte le potenzialità dell’opera di san Gabriele[5].

L’Istruzione, pertanto, aveva un legame immediato con l’approvazione statutaria della figura dei soprannumerari, giuridicamente vincolati all’Opus Dei, con una vera vocazione, con «un impegno pieno con il Signore»[6] nell’Opera, come diceva san Josemaría, pur potendo dedicarsi solo alle iniziative apostoliche compatibili con le proprie circostanze familiari e sociali[7]. Nell’Istruzione si diceva tutto ciò con uno stile semplice e non giuridico, per favorire la formazione dei futuri membri; si illustrava loro la ricchezza spirituale e apostolica della vocazione del soprannumerario e l’oggetto specifico dell’opera di san Gabriele.

Nel 1962, dopo due tentativi non andati a buon fine di trasformare l’Opus Dei in una figura canonica diversa da quella di istituto secolare, che il Fondatore considerava inadeguata per la sua evoluzione verso le forme di vita consacrata, san Josemaría iniziò a lavorare sulle Lettere.

La prima che fu stampata, di tutte la più breve, ha proprio lo scopo di comunicare ai suoi figli che di fatto l’Opus Dei non poteva ormai più essere considerato istituto secolare[8].

A questa Lettera ne seguirono altre, più o meno brevi, destinate a spiegare aspetti dello spirito e della storia dell’Opera e rispondenti anche a necessità formative di quel momento, ma che il Fondatore voleva lasciare alle generazioni future per orientarle e ispirarle.

Poco per volta aumentarono di numero e in estensione, fino ad arrivare al gennaio 1966, quando fu pubblicata questa, come abbiamo detto, assieme ad altre quattordici. Perché san Josemaría sentì il bisogno di scrivere di nuovo a proposito dell’opera di san Gabriele, cui aveva dedicato una lunga Istruzione solo qualche anno prima? Esistono varie ipotesi. Anzitutto, si può notare che torna sul medesimo tema anche in altri documenti: all’opera di san Michele e a quella di san Raffaele sono pure dedicate una Istruzione e una Lettera ciascuna.

Per qualche motivo, san Josemaría ritenne necessario disporre di due lunghi scritti per ognuno dei tre argomenti. La sua idea iniziale era che le Istruzioni fossero una guida pratica per sviluppare ognuna delle tre opere, mentre nelle Lettere avrebbe ribadito gli stessi temi o qualche punto specifico che gli interessava sottolineare, senza seguire un ordine rigoroso. Ci sembra di poterlo dedurre da ciò che scrisse in diverse occasioni come, ad esempio, nella Lettera n. 13, al p. 13:

Ci sono dei miei scritti, le Istruzioni, che, viste le loro caratteristiche, non tengo in un cassetto: ve le metto subito a disposizione per poterle meditare e mettere in pratica. Vi troverete elementi fondamentali dello spirito dell’Opera e altre cose provvisorie che non sono destinate a perdurare. Le Lettere, invece, possono e, a volte, devono aspettare: non so quando avrete tra le mani quella che sto scrivendo adesso. Non avete bisogno, almeno per ora, di questi documenti, perché gli aspetti positivi li state vivendo, e anche bene. Il resto – ripeto – appartiene alla nostra storia interna e non è questo il momento di fare storia.

Se si confronta il contenuto dell’Istruzione sull’opera di san Gabriele con la presente Lettera, si notano evidenti differenze. La prima fu scritta in un momento in cui le attività per le persone non chiamate al celibato avevano, per così dire, appena spiccato il volo. Tra il 1947 e il 1948 era stata ben profilata la vocazione del soprannumerario, erano pervenute le prime richieste di ammissione ed era stata svolta la prima convivenza.

Pertanto, sebbene fosse aumentato il numero dei membri di questa categoria, nel 1950 si era praticamente agli inizi e bisognava spiegare minutamente in che cosa consisteva tale vocazione; come si provvedeva alla cura pastorale dei soprannumerari; quali virtù erano chiamati a praticare; dove si sarebbe indirizzato il loro impegno di apostolato; come si sarebbero svolte le loro riunioni e convivenze formative; quale genere di evangelizzazione avrebbero svolto nel mondo e dove avrebbero potuto esercitare il loro influsso cristiano, ecc. In alcuni momenti l’Istruzione offre suggerimenti dettagliati e pratici.

La Lettera della quale ci occupiamo parte da presupposti diversi rispetto al 1950. Anche se non sappiamo quando cominciò a redigerla, conosciamo la data in cui la dette per terminata (fine del 1965), quando il mondo era già molto cambiato e si intuivano prossime trasformazioni sociali ancora più radicali, che avrebbero avuto ripercussione su parecchie dimensioni della vita umana, anzitutto quella religiosa ma anche quella morale e quella familiare. Era urgente sottolineare un aspetto dell’opera di san Gabriele, già toccato nell’Istruzione ma che qui assume un peso preponderante: la portata evangelizzatrice di questa attività non può esaurirsi in un apostolato individuale ma deve riversarsi su un mondo che si sta allontanando drammaticamente da Dio, almeno nell’Occidente. A una lettura del documento, questi temi appaiono predominanti, come faremo rilevare nel riassumerne il contenuto.

Nella Lettera compare anche un tema al quale si sarebbe potuto accennare nel 1950 ma che, nel 1965, era di estrema attualità e importanza per il Fondatore. Nel 1962 san Josemaría si era convinto che bisognasse abbandonare non appena possibile la configurazione giuridica come istituto secolare, per salvaguardare la piena secolarità della vocazione all’Opus Dei. Se c’è qualcosa che caratterizza le Lettere di san Josemaría stampate a partire dal 1962, è l’insistenza martellante sulla secolarità dei membri, la differenza tra la loro vocazione e quella dei religiosi, la libertà di cui godono, la loro piena appartenenza al mondo, temi che non aveva bisogno di ribadire nel 1950. Nella Lettera che stiamo commentando, invece, compaiono assai spesso, evidentemente per marcare un prima e un dopo, fissare per sempre la genuina dottrina dell’Opus Dei sulla natura laicale della vocazione dei soprannumerari.

Pensiamo a un ultimo motivo che poté spingere il Fondatore a scrivere questa Lettera: quando essa venne alla luce, a metà degli anni Sessanta, l’opera di san Gabriele stava conoscendo una grande diffusione in diversi paesi. Avere un testo del genere poteva essere assai utile per la formazione di coloro che dovevano occuparsi dei soprannumerari e anche per trasmettere a questi membri dell’Opus Dei l’insegnamento del Fondatore sui diversi temi che vi sono trattati. L’opinione corrente su alcuni di essi, come le questioni di morale matrimoniale, era cambiata profondamente rispetto al 1950 e nel 1966 era in corso un vasto dibattito, di cui si dà conto in alcune note al testo che pubblichiamo.

Contenuto della Lettera n. 29

San Josemaría dà inizio alla Lettera spiegando che la salvezza portata da Cristo è destinata a tutti gli uomini senza alcuna eccezione. Tuttavia, pur essendo la redenzione sovrabbondante, si può constatare che tanti ignorano Cristo e che il male è prosperato nel mondo: «Nel campo di Dio sulla terra, eredità di Cristo, c’è zizzania, anzi, una gran quantità di zizzania!» (n. 3). Dinanzi a tale realtà, queste pagine sono un appello a partecipare alla redenzione con Cristo, a non rimanere indifferenti. È necessario – afferma – agire come lievito nella massa, in modo lento e graduale, per divinizzare gli uomini (nn. 1-9).

L’opera di san Gabriele – continua ai nn. 10-15 – si nutre di grandi prospettive apostoliche. Con essa «riempiamo tutte le attività di questo mondo di un contenuto soprannaturale che contribuirà efficacemente, nella misura in cui si estenderà, a risolvere i grandi problemi dell’umanità» (n. 10). È un argomento-chiave della Lettera: l’opera di san Gabriele non si limita a migliorare la vita cristiana di coloro che la frequentano ma muove, come conseguenza dell’agire personale di ognuno, a vivificare e illuminare le realtà e le strutture temporali con la vita e la luce di Cristo In questa sezione, il fondatore parla della vocazione dei soprannumerari, sottolineandone la portata evangelizzatrice e trasformante: sono persone di ogni genere, di ogni classe sociale, che possono esercitare un influsso cristiano sia da posizioni preminenti nella vita sociale, sia da collocazioni molto modeste, con un apostolato assai variegato, che copre tutti gli ambiti della vita degli uomini. Ne consegue l’importanza della vocazione professionale secolare, che fa parte della vocazione di un soprannumerario ed è uno degli aspetti che la distingue da altri cammini nella Chiesa. La parte centrale (nn.16-32) tratta anzitutto del rapporto tra santità e apostolato personale. Successivamente, sviluppa ulteriormente il tema principale della Lettera, già toccato nella precedente sezione. Gli impegni professionali e apostolici non si orientano al solo apostolato individuale ma si fondono nell’aspirazione di un membro dell’Opus Dei a costruire una società più giusta e più cristiana. Pertanto, san Josemaría esorta ad amare il mondo e ad essere presenti, senza timori, in tutte le iniziative e in tutte le organizzazioni umane, senza lasciare irresponsabilmente campo libero ai nemici di Dio, evitando però le rigidezze: «Dobbiamo, figli miei, mantenere un atteggiamento comprensivo, amorevole. Non abbiamo nemici, non possiamo mai essere settari: ci sforziamo di annegare il male nell’abbondanza di bene» (n. 25). La caratteristica del lavoro di una persona dell’Opus Dei è «un grandissimo amore per tutti gli uomini, un cuore aperto a tutte le loro preoccupazioni e problemi, una comprensione senza limiti, che non conosce discriminazioni ed esclusivismi» (n. 26). Un cristiano, però, non può dormire sugli allori: con atteggiamento proattivo, sereno, realista, bisogna impegnarsi «a cristianizzare tutte le attività terrene: mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane!» (n. 28). Si tratta, nientemeno, di diffondere il messaggio cristiano nel mondo intero.

Una breve sezione (nn. 33-37) è dedicata a illustrare alcune caratteristiche della formazione dei soprannumerari e san Josemaría si sofferma in modo particolare sulla libertà che deve presiedere a tale formazione. Essi godono di uguale libertà nel vasto campo delle scelte personali e professionali e delle soluzioni opinabili: «Libertà, figli miei. Non aspettatevi mai dall’Opera consegne temporali» (n. 36). Esorta ognuno a cercare le soluzioni che, in coscienza, ritiene più idonee a risolvere i problemi temporali. Gli dispiace che persone di Chiesa, per il loro clericalismo, non comprendano e non rispettino tale libertà.

Di seguito (nn. 38-42) espone rapidamente altre caratteristiche dell’apostolato dei soprannumerari: non è un’attività ecclesiastica; deve essere presieduto dall’umiltà; si deve svolgere nell’esercizio dei doveri e dei diritti civili, perché la vocazione ha «carattere pienamente secolare» (n. 41). Pertanto, ribadisce il dovere di essere presenti, come lievito cristiano, nelle attività degli uomini, compresa la vita pubblica, qualora se ne presentasse l’occasione, considerando l’influsso della legislazione civile sulla vita degli uomini riguardo a questioni moralmente rilevanti.

Dopo un cenno ai cooperatori (n. 43) si sofferma su alcune iniziative specifiche, come l’annuncio del messaggio evangelico mediante i mezzi di comunicazione di massa (nn. 44-46); l’apostolato del divertimento; la presenza nel mondo della finanza e nei diversi ambiti dell’economia e della politica (nn. 47-52).

Un’ultima sezione (nn. 53-58) è dedicata alla vita familiare e al matrimonio. In essa san Josemaría propone criteri per vivere santamente i doveri coniugali in momenti in cui si stavano facendo strada il permissivismo sessuale, la mentalità contraccettiva e il divorzio. La Lettera termina con l’esortazione a seguire risolutamente la vocazione ricevuta, sostenuti dalla consapevolezza della propria filiazione divina (nn. 59-60).

Note all'introduzione

[1] Per ulteriori dettagli si veda l’introduzione di José Luis Illanes al primo volume pubblicato:

Josemaría ESCRIVÁ, Lettere (vol.1), Milano, Ares, 2021, pp. 11-39.

[2] Cfr. Nota 23/65 (nv) del 21 gennaio 1966, in AGP, serie E.1.3, 244-3.

[3] Cfr. Alfredo MÉNDIZ, Los primeros pasos de la “obra de san Gabriel” (1928-1950), “Studia et Documenta” 13 (2019), pp. 243-269.

[4] Cfr. Relazione di Salvador Canals, 9 febbraio 1948, in AGP, serie L.1.1, 10-1-15.

[5] Dell’evoluzione della figura del soprannumerario dal 1930 al 1950 tratto estesamente in un altro lavoro: “Los primeros supernumerarios del Opus Dei (1930-1950)”, in Santiago MARTÍNEZ SÁNCHEZ – Fernando CROVETTO (eds.), El Opus Dei. Metodología, mujeres y relatos, Pamplona, Thomson Reuters Aranzadi, 2021, pp. 375-396.

[6] Istruzione per l’opera di san Gabriele, in AGP, serie A.3, 90-2-2, n. 169.

[7] Cfr. Lettera di Josemaría Escrivá a Pio XII, 2 febbraio 1948, in AGP, serie L.1.1, 10-1-15, al n. 342. 3 degli Addenda alle Constitutiones (in AGP, serie L.1.1, 10-1-17).

[8] Lettera n. 28: sulla situazione giuridica dell’Opus Dei, che di fatto non è un istituto secolare, benché lo sia di diritto; designata anche dall’incipit Non ignoratis, è datata 2 ottobre 1958 e fu la prima Lettera a essere stampata e inviata, prima del 15 febbraio 1964; 7 pp.


Lettera n. 29 di san Josemaría Escrivá

Sulla missione dell’opera di San Gabriele nell’evangelizzazione del mondo e nella promozione della santità dei fedeli laici

1. Siamo stati scelti dall’amore di Dio, figlie e figli carissimi, per vivere il cammino dell’Opera, sempre giovane e sempre nuovo, questa avventura umana e soprannaturale che consiste nel corredimere con Cristo, nella stretta e intima partecipazione all’impazienza di Gesù di propagare il fuoco che era venuto a gettare sulla terra[1].
Egli, con la sua croce e il trionfo sulla morte, stracciò il decreto di condanna degli uomini[2] e li riscattò tutti al prezzo immenso e infinito del suo sangue: empti enim estis pretio magno[3], siamo stati comprati a caro prezzo. Ha mostrato all’intera umanità, nessuno escluso, la possibilità di una vita nuova, di rinascere nello Spirito, di iniziare un’esistenza da vincitori che possono esclamare: Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?... Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore[4]. Splendido inno di certezza, di pienezza, di divinizzazione, che il povero fango umano non si sarebbe mai potuto sognare di intonare!

2. Tuttavia, il Signore, che offre la sua salvezza a tutti gli uomini, senza fare discriminazioni di nazionalità, razza, lingua, stato sociale[5], non costringe nessuno ad accettarla. Lascia liberi gli uomini: essi talvolta non vogliono, obbligando Gesù a ricevere le loro scuse meschine ed egoiste, il loro rifiuto – habe me excusatum[6] – dell’amorevole invito a partecipare alla grande cena.

Dispiace constatare che, dopo venti secoli, ci siano così pochi cristiani nel mondo e che, tra coloro che si dichiarano cristiani, ce ne siano così pochi che posseggono la vera dottrina di Cristo.

Vi ho già raccontato che una volta, osservando un mappamondo, un uomo che non era cattivo ma che non aveva fede, mi disse: Guardi, da nord a sud, da est a ovest, guardi. Gli domandai: Che cosa vuole che guardi? Mi rispose: Il fallimento di Cristo. Tanti secoli passati a cercare di mettere nel cuore degli uomini la sua dottrina e guardi i risultati: non ci sono cristiani. All’inizio mi rattristai molto, ma subito dopo mi riempii di amore e di gratitudine perché il Signore ha voluto che cooperassimo liberamente alla sua opera redentrice. Cristo non è fallito: la sua dottrina e la sua vita stanno continuando a fecondare il mondo. La sua redenzione è sufficiente e sovrabbondante ma ci tratta da esseri intelligenti e liberi e ha voluto che, misteriosamente, diamo compimento a ciò che manca nella nostra carne, nella nostra vita, della sua passione pro corpore eius, quod est Ecclesia[7]. La redenzione è in atto e voi ed io siamo corredentori. Vale la pena giocarsi l’intera esistenza e saper soffrire per amore, per portare avanti le cose di Dio e aiutarlo a redimere il mondo, a corredimere. Pertanto, è giusto che voi ed io proclamiamo le lodi di Dio: laudationem Domini loquetur os meum, et benedicat omnis caro nomini sancto eius[8]; canti la nostra bocca la lode del Signore e benedica ogni vivente il suo santo nome.

3. Non possiamo dimenticare, figli miei, che il Signore ha detto che il suo regno non è di questo mondo[9] perché, permettendo che l’uomo usi male della sua libertà, ha tollerato che la zizzania cresca assieme al buon grano fino al giorno della mietitura[10]. E il male è prosperato! Sin dall’infanzia della Chiesa, quando ancora vivevano gli Apostoli, sorgono eresie e scismi. Persecuzioni dei pagani nei primi tempi della cristianità, islam, protestantesimo e adesso il comunismo. Nel campo di Dio sulla terra, eredità di Cristo, c’è zizzania, anzi, una gran quantità di zizzania!

Finché non discenderà dal cielo la città santa, la nuova Gerusalemme, cielo nuovo e terra nuova[11], non ci sarà tregua nel combattimento tra il Signore dei signori e il Re dei re; quelli che stanno con lui (…), gli eletti e i fedeli[12], da una parte, e i servitori della bestia e del figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio[13], dall’altra.

4. Il nostro non è un ottimismo sciocco e presuntuoso: è realismo. Non possiamo pertanto ignorare la presenza del male nel mondo o non sentire la pressante responsabilità di chi è stato convocato da Cristo a combattere con Lui la sua bella battaglia di amore e di pace.
Parecchi anni fa, predicando un ritiro spirituale ai vostri fratelli, facevo loro osservare la situazione mondiale, che da allora non è molto cambiata. Li invitavo a osservare, in modo immaginoso, la macchia rossa che si propaga rapidamente nel mondo devastando ogni cosa e che intende annientare ogni briciolo di senso soprannaturale. E il progredire di un’altra immensa ondata di sensualità, di imbecillità, scusate, poiché gli uomini tendono a vivere come bestie.
Poi facevo loro notare che si riconosce anche un altro colore che non smette di avanzare, specialmente nei paesi latini e in modo più ipocrita in altre nazioni: un clima anticlericale, di un anticlericalismo cattivo, che vuole relegare Dio e la Chiesa nel profondo della coscienza o, detto più chiaramente, all’ambito del privato, senza che il fatto di possedere la fede si possa manifestare nella vita pubblica. Non esagero: sono tre pericoli imminenti, evidenti e aggressivi.

5. Non potete chiudere gli occhi di fronte a questa realtà, sarebbe una apatia intollerabile. Non voglio che vi colmiate di pessimismo, inerzia e indolenza ma piuttosto che vi infiammiate della santa impazienza di Cristo il quale, a passo veloce, precedendo i discepoli – praecedebat illos Iesus[14] – andava per l’ultima volta a Gerusalemme, per essere battezzato in un battesimo di cui il suo spirito aveva un desiderio fortissimo e incessante[15].
Sia sempre sulle vostre labbra e nelle vostre anime una affermazione definitiva, giovanile e audace: possumus[16], lo possiamo, se sentite l’invito del Signore: Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?[17].
Un figlio di Dio nella sua Opera, pur conservando sempre la serenità della sua filiazione divina, non può rimanere indifferente di fronte a un mondo che non è cristiano e addirittura non è umano. Infatti, molti uomini non sono riusciti ancora a raggiungere quelle condizioni terrene di vita che permettono di sviluppare lo spirito e soffrono una specie di paralisi riguardo a tutto ciò che non è carnale. Si possono applicare loro le parole della Scrittura: gente che vive di istinti, ma non ha lo Spirito[18]. Per quelle povere anime vale ciò di cui si rammaricava san Paolo: animalis homo non percipit ea quae sunt Spiritus Dei[19], perché sono creature meschine che non vedono la luce spirituale, non comprendono le cose dello Spirito di Dio.

6. Volgete però lo sguardo ai popoli che hanno avuto un incremento quasi incredibile di cultura e di progresso; che, in pochi anni, hanno raggiunto uno sviluppo tecnologico meraviglioso che garantisce un elevato livello di vita. Le loro ricerche – è stupendo come Dio aiuta l’intelligenza umana – avrebbero dovuto spingerli ad avvicinarsi a Dio, perché, nella misura in cui attingono a ciò che è vero e a ciò che è buono, provengono da Dio e conducono a Lui.
Tuttavia, così non è: nonostante il progresso, nemmeno loro sono più umani. Non possono esserlo perché, se manca la dimensione divina, la vita umana, nonostante tutta la perfezione materiale raggiunta, è vita animale. Solo quando si apre alla prospettiva religiosa, l’uomo realizza la sua aspirazione a distinguersi dalle bestie: la religione, da un certo punto di vista, è come l’estrema ribellione dell’uomo che non vuole essere un bruto. Sul piano religioso, figlie e figli miei, non c’è progresso, non ci può essere superamento. Il culmine del progresso è già stato raggiunto: è Cristo, alfa e omega, principio e fine[20]. Nella vita spirituale non c’è nulla da inventare; si può solo lottare per immedesimarsi con Cristo, essere altri Cristi, ipse Christus, innamorarsi e vivere di Cristo che è lo stesso ieri e oggi e per sempre: Iesus Christus heri et hodie, ipse et in saecula[21]. Capite perché vi ripeto continuamente che non ho altra ricetta da darvi se non la santità personale? Non c’è altro figli miei, non c’è nient’altro.

7. È necessario un processo, un lievito che divinizzi gli uomini e che, mentre li rende divini, li faccia autenticamente umani. Molti di coloro che si definiscono discepoli di Gesù, anche quelli che danno pubblica dimostrazione di devozione, hanno ancora bisogno di lievito. Il lievito rende la pasta soffice e leggera, porosa, la fa crescere, la rende adatta per l’alimentazione. Senza il lievito, la farina e l’acqua non darebbero altro che una massa compatta, indigesta, malsana.
Dio nostro Signore, in mezzo alle grandi diserzioni, si è sempre riservato un resto di uomini fedeli che operassero come lievito nella massa. Tornerà il resto, il resto di Giacobbe, al Dio forte. Poiché anche se il tuo popolo, o Israele, fosse come la sabbia del mare, solo un suo resto ritornerà[22]; i frutti residui restano sull’olivo quando lo si scuote, quando si racimola[23], dicevano i profeti. Così anche nel tempo presente – scriveva san Paolo ai romani – vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia[24]. Gesù istituì come lievito solo alcuni: il piccolo gruppo di santi uomini e donne che collaboravano con i primi; nei loro cuori aveva fatto una semina meravigliosa.

8. Ai vostri primi fratelli facevo osservare che eravamo in pochi. Con grande sicurezza dicevo loro: meglio così! Abbiamo di fronte delle masse? Noi, però, siamo uniti dall’amore. Essi, invece, anche se sembrano uniti, vivono dispersi, perché li ha riuniti l’odio, che esiste da sempre, che nasce da un’esistenza egoista, dall’eterna lotta delle creature ribelli contro il loro Creatore. E aggiungevo: vogliamo essere di più? Allora dobbiamo essere migliori!
Figli della mia anima, il lievito non agisce bruscamente, con violenza o solo parzialmente, ma ha un effetto lento e graduale che in virtù della sua natura si propaga in tutta la pasta. Oggi che, per grazia di Dio, siamo tanti, potete rendervi conto dei risultati ottenuti da quei pochi che all’inizio ebbero fede in Dio e in questo povero peccatore e sono stati, come oggi lo siete voi, in quasi tutto il mondo, un lievito efficace, grazie alla vita soprannaturale, al lavoro, al volontario spirito di sacrificio.

9. Per anni mi ha infiammato di amore di Dio la considerazione del forte desiderio di Gesù di incendiare il mondo con il suo fuoco. Non riuscivo a contenere l’ardore che mi riempiva il cuore e che mi faceva gridare, con le parole stesse del Maestro: ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur?... Ecce ego quia vocasti me[25]; sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!... Mi hai chiamato, eccomi!
Tutti i miei figli devono nutrire il desiderio di impegnarsi, quale che sia il sacrificio necessario, a riattivare per il servizio di Dio le energie bloccate e intorpidite degli uomini, facendo propria l’esclamazione del Signore: misereor super turbam[26], con affetto per la folla.

Nessuno può starsene tranquillamente nell’Opus Dei, senza preoccuparsi delle masse prive di personalità: gregge, branco, mandria, come ho detto talvolta. Quante nobili passioni nasconde la loro apparente indifferenza, quante opportunità!

Dobbiamo servire tutti, imporre le mani ad ognuno, come Gesù – singulis manus imponens[27] – per riportarli in vita, per guarirli, per illuminare la loro mente e irrobustirne la volontà, affinché possano essere utili! Trasformeremo così il gregge in esercito, il branco in schiera ed estrarremo dalla mandria coloro che non vogliono essere immondi.
Oggi l’Opera ha il profumo dei frutti maturi[28] e osservandone il lavoro fecondo non c’è bisogno di fede per rendersi conto che il Signore ha benedetto a piene mani la nostra attività. Anni fa, nella mia orazione, con gratitudine verso il Signore, cantavo all’Opera una strofa della mia terra: boccioletto, boccioletto / già stai diventando rosa: / si avvicina ormai il momento / che ti dica qualche cosa. Figli miei, oggi avete nelle vostre mani delle rose bellissime, meravigliose, anche se hanno le spine. È il momento di non addormentarsi, di scuotersi, per raccogliere la messe ottenuta con tanto sforzo e offrirla a Cristo e alla sua santa Chiesa.

10. Tutto il nostro apostolato è volto direttamente a impregnare di senso cristiano la società. Per di più, con l’opera di san Gabriele riempiamo tutte le attività di questo mondo di un contenuto soprannaturale che contribuirà efficacemente, nella misura in cui si estenderà, a risolvere i grandi problemi dell’umanità.
Tra i soprannumerari troviamo tutta la gamma delle condizioni sociali, delle professioni e dei mestieri. Tutte le circostanze e le situazioni dell’esistenza sono santificate dai miei figli, uomini e donne, che si dedicano, nella loro condizione e nella posizione di cui godono nel mondo, a cercare la perfezione cristiana con pienezza di vocazione.
Dico con pienezza di vocazione perché, nella situazione in cui li ha posti Dio nella sua provvidenza, si sforzano di corrispondere con piena generosità alle richieste del Signore che li ha chiamati nella sua Opera: un servizio senza riserve alla Santa Chiesa, al Romano Pontefice e a tutte le anime come cittadini cattolici responsabili.
La maggior parte dei miei figli soprannumerari è sposata e per loro l’amore e i doveri coniugali fanno parte della vocazione divina. L’Opus Dei ha fatto del matrimonio un cammino divino, una vocazione. Da più di trent’anni cerco di inculcare nell’animo di tanta gente il senso vocazionale del matrimonio.
Pur insegnando che la verginità e la perfetta castità sono superiori al matrimonio – non che sia io a dirlo: è definito dalla Chiesa[29] – abbiamo esaltato il matrimonio fino a farne una vocazione.

Quante volte ho visto brillare gli occhi di tanti uomini e donne: credevano che fossero incompatibili nella propria vita la dedizione a Dio e un amore bello e casto e invece mi sentivano dire che il matrimonio è un cammino divino sulla terra! Riprenderò più avanti questo tema.

11. Nel novero dei discepoli di Cristo era rappresentata tutta la società del tempo: lo seguivano tanto la gente del popolo quanto le persone influenti. Vi ho additato spesso due dei suoi discepoli: Nicodemo, dottore della legge e persona illustre, probabilmente membro del Sinedrio, e Giuseppe di Arimatea, uomo ricco, membro dell’aristocrazia laica del tribunale supremo di Gerusalemme. Si muovevano con discrezione e silenziosamente, ligi agli imperativi della coscienza nella vita pubblica[30] e con coraggio, con audacia, a viso scoperto nei momenti difficili[31]. Ho sempre pensato, e ve l’ho detto, che questi due uomini, se vivessero oggi, capirebbero bene la vocazione dei soprannumerari dell’Opus Dei.

Come tra i primi seguaci di Cristo, anche tra i nostri soprannumerari è presente tutta la società attuale e sarà sempre così: intellettuali e uomini d’affari; professionisti e artigiani; imprenditori e operai; diplomatici, commercianti, agricoltori, finanzieri e letterati; giornalisti, uomini del teatro, del cinema, del circo e dello sport. Giovani e anziani. Sani e malati. Un’organizzazione disorganizzata come lo è la vita, meravigliosa; un apostolato che tocca per davvero tutti i settori, perché tutte le vocazioni umane, dignitose e oneste, diventano apostoliche, divine.
Ci interessano persone delle più diverse provenienze professionali e lavorative, di ogni condizione sociale, in qualunque nodo, al momento o in un eventuale futuro, della trama di mutui servizi in cui consiste la società degli uomini: tale insieme di vive interrelazioni, infatti, deve essere penetrato totalmente dal lievito di Cristo.

12. Considerate, figlie e figli miei, che non privilegiamo una professione o una condizione sociale a scapito di altre[32]. Il valore che vi ricerchiamo, senza discriminazioni e lungi da una visione classista, è quello del servizio alla comunità, cosicché diamo rilievo e valore anche alle occupazioni che da parte di alcuni ricevono scarsa considerazione sociale. Sono tutte attività che cooperano al bene temporale dell’intera umanità e, se sono compiute con perfezione e per un motivo soprannaturale, se le si spiritualizza, cooperano anche all’opera divina della Redenzione e alimentano la fraternità tra tutti gli uomini, facendoli sentire membri della grande famiglia dei figli di Dio. Non togliamo nessuno dal proprio posto: è appunto nella situazione in cui l’ha raggiunto la chiamata del Signore, che ciascuno deve santificarsi e santificare il suo ambiente, la cerchia delle proprie relazioni, quella che dà un senso alla sua esistenza nel mondo. Anche in questo condividiamo il sentire dei primi cristiani.

Ricordate ciò che scriveva san Paolo ai fedeli di Corinto: Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; anche se puoi diventare libero, approfitta piuttosto della tua condizione! Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore è un uomo libero, a servizio del Signore! Allo stesso modo chi è stato chiamato da libero è schiavo di Cristo. Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini! Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato[33].

13. A tutti i livelli della società, cercate, con la grazia di Dio, vocazioni per la sua Opera in particolare tra quelle persone che, grazie al loro lavoro, si trovano in punti vitali della convivenza umana, nelle situazioni che sono, per così dire, centri di attività o luoghi di incontro e intersezioni di intense relazioni sociali. Non mi riferisco soltanto ai ruoli di vertice all’interno di una comunità nazionale o sovranazionale, dai quali, con spirito di servizio, si può fare tanto per ottenere che la società si strutturi secondo i desideri di Cristo, garanzia di vera pace e di autentico progresso sociale.

Mi riferisco anche, perché hanno altrettanto o maggior interesse, a quei posti, professioni o mestieri che, all’interno delle società minori, sono per loro natura occasioni di mettersi in contatto con moltissime persone, dare un impronta cristiana alle loro opinioni, influire sulla loro mentalità, risvegliarne la coscienza, con il continuo impegno di apostolato dottrinale che deve caratterizzare tutti i figli di Dio nella sua Opera.
Per questo motivo vi ho detto spesso che è importante – importa a Dio nostro Signore – che vi siano molte vocazioni tra le persone-chiave delle piccole località: amministratori locali (segretari comunali, consiglieri e assessori, ecc.), maestri, barbieri, ambulanti, farmacisti, ostetriche, postini, camerieri, collaboratrici familiari, giornalai, commessi, ecc.

Il nostro lavoro deve arrivare fino all’ultima borgata, perché l’aspirazione all’amore e alla pace che ci muove impregnerà di spirito cristiano tutte le attività terrene, grazie a questo impegno capillare per informare cristianamente le cellule vive che costituiscono le comunità superiori. Non ci sarà alcun paesino in cui non vi sia qualche soprannumerario a irradiare il nostro spirito. Seguendo il nostro stile abituale, quel mio figlio cercherà di contagiare quanto prima altre persone della sua santa ambizione: ben presto lì vi sarà un gruppo di figli di Dio nella sua Opera, che sarà seguito nel modo migliore, con i viaggi e le visite necessari, perché non si debiliti ma resti vivace e attivo.
Si comprende perfettamente, una volta riscontrata la grandissima varietà di soci dell’Opera, la nostra pluralità: per ciò che riguarda la fede o lo spirito dell’Opus Dei, che sono il minimo comune denominatore, possiamo usare il noi; per tutto il resto, tutte le questioni temporali e quelle teologiche opinabili, numeratore immenso e assolutamente libero, nessuno dei miei figli può dire noi: deve dire io, tu, lui.

14. Sapete benissimo, figli miei, che la nostra attività apostolica non ha una finalità settoriale: esclude qualsiasi delimitazione perché è rivolta a tutte le articolazioni della vita umana; perché innalza ed eleva all’ordine soprannaturale e trasforma in autentico lavoro di anime tutti i servizi che gli uomini si prestano reciprocamente nel sistema della società.
Negli ultimi secoli, i religiosi di vita attiva, per avvicinarsi al mondo, benché sempre dall’esterno, si sono dedicati a svolgere apostolati specifici, infondendo lo spirito cristiano in determinate iniziative umane: educazione, beneficenza, ecc. Un lavoro benemerito il loro, anche se non aveva tanto l’obiettivo di configurare o di esprimere la vocazione specifica dei religiosi ma piuttosto di sopperire alla mancanza di iniziativa dei cittadini cattolici. Costoro, forse perché era stata trascurata la loro formazione cristiana, non sentivano la necessità di cristianizzare le istituzioni temporali.
Tuttavia, in quest’opera, non specifica della loro vocazione quanto piuttosto di supplenza, i religiosi, circoscrivendo la propria attività a un determinato settore, finivano per sentirsi limitati, poiché vi sono molti ambiti umani che, pur essendo decenti e onesti, sono totalmente incompatibili con il loro stato: infatti, la missione principale tipica dei religiosi è di offrire al mondo, dal quale si sono santamente esclusi, la testimonianza della loro vita di consacrazione. Inoltre, in molti paesi, anche cattolici, il laicismo di questi ultimi tempi sta scalzando i religiosi dalle scuole e dalle istituzioni di beneficenza o, per lo meno, tende a limitare le loro attività non strettamente religiose.

Con l’apostolato dell’Opera, i laici, senza alcun tipo di supplenza[34], prendono possesso, con piena consapevolezza e responsabilità, del campo specifico che Dio ha assegnato come ambito della loro missione ecclesiale. Svolgono un apostolato la cui vastità è imprevedibile, poiché le opportunità si confondono con le possibilità che esprimono il lavoro umano e le sue funzioni sociali. Senza alcun pericolo di immobilismo, tale apostolato sarà aperto a tutti i cambiamenti strutturali che, con il passare del tempo, potranno verificarsi nella configurazione della società.
Pertanto, non posso esimermi qui dal considerare che è molto difficile che i religiosi sentano una vocazione ordinaria, professionale e secolare (se l’avessero avuta non sarebbero religiosi) e che dare loro una formazione professionale sarebbe difficile, dispendioso, un sovrappiù, una forzatura. Penso che soltanto un numero minimo di loro riuscirebbe a raggiungere il livello medio dei professionisti di questo mondo.

15. Per questo motivo, figli miei, possiamo dire che su di noi grava la preoccupazione e la responsabilità di tutta la Chiesa – sollicitudo totius Sanctae Ecclesiae Dei – e non dell’una o dell’altra porzione particolare. Dando appoggio al Romano Pontefice e agli Ordinari diocesani, che hanno una responsabilità ufficiale, giuridica, de iure divino, noi, con una responsabilità non giuridica ma spirituale, ascetica, che nasce dall’amore, offriamo a tutta la Chiesa un servizio di indole professionale, di cittadini che fanno arrivare la testimonianza cristiana dell’esempio e della dottrina fino ai punti più remoti della società civile.

La storia dimostra il ruolo decisivo che svolsero le istituzioni di ambito universale come gli ordini e le congregazioni religiose in momenti difficili per l’unità della Chiesa. Noi, che abbiamo ricevuto una vocazione che non ha nulla a che vedere con quella dei religiosi, siamo un’associazione di ambito universale, con una gerarchia interna anch’essa universale, che ci distingue chiaramente dai cosiddetti movimenti di apostolato[35] e ci rende uno strumento dotato di coesione ed efficacia per il servizio della Chiesa e del romano Pontefice.

16. La vostra efficacia, figli miei, sarà conseguenza della santità personale, che si concretizzerà in opere compiute responsabilmente e che non si nascondono nell’anonimato. Gesù, buon Seminatore, ci stringe come chicchi di frumento nella sua mano piagata, ci inonda del suo sangue, ci purifica, ci monda, ci inebria!

Poi, ci lancia generosamente nel mondo, a uno a uno, sparpagliati, come devono muoversi i suoi figli dell’Opus Dei: perché il grano non si semina a sacchi ma chicco per chicco.

Ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità[36]. È inconcepibile e sarebbe una menzogna, una ipocrisia, una commedia, che la vita di un mio figlio non producesse copiosi frutti apostolici. Vi ripeto nuovamente che costui sarebbe morto, putrefatto: iam foetet[37]! E io, come ben sapete, i cadaveri li seppellisco pietosamente.

Nel rapporto personale con i vostri colleghi, parenti, amici e vicini, con un impegno che spesso ho definito apostolato di amicizia e di confidenza, li scuoterete dal torpore, aprirete vasti orizzonti alla loro esistenza egoista e borghese, complicherete loro la vita, aiutandoli a dimenticare se stessi e a comprendere i problemi degli altri.

State pur certi che se complicherete loro la vita li condurrete – ne avete fatto esperienza – al gaudium cum pace, alla gioia e alla pace.

L’apostolato personale, che non è un’attività anarchica perché seguite gli orientamenti dottrinali e pratici dei vostri direttori, fatto con costanza, creerà un clima di serenità attorno a voi e le vostre case saranno l’immagine fedele di quelle dei primi cristiani.

Con l’apostolato personale potrete avvicinare i vostri amici e conoscenti alle attività di formazione spirituale e dottrinale dell’Opera (ritiri spirituali, conferenze, circoli, ecc.) e alla direzione spirituale con i nostri sacerdoti: sono mezzi di straordinaria efficacia, necessari, per condurre a compimento la cura che vi prendete personalmente delle loro anime servendovi della vostra vita professionale, della vostra condizione sociale e della situazione famigliare, di tutto, perché tutto serve per l’apostolato.

17. Non dovete però limitarvi a questo. Non potete accontentarvi di portare qualche parente e amico a un ritiro spirituale o di averli messi in contatto con un sacerdote dell’Opera. Il vostro impegno apostolico non finisce qui. È necessario anche che comprendiate fino in fondo che svolgete un apostolato fecondissimo quando vi sforzate di dare un orientamento cristiano alle professioni, alle istituzioni e alle strutture umane in cui lavorate e operate.

Fare in modo che tali realtà si strutturino in base ai principi che governano una concezione cristiana della vita, significa fare un apostolato ampio e profondo perché, incarnando in tal modo lo spirito di giustizia, garantite agli uomini di poter vivere secondo la loro dignità e, con l’aiuto della grazia di Dio, offrite a molte anime la possibilità di rispondere in prima persona alla vocazione cristiana.

Quando parlo di giustizia, non fermatevi al senso stretto di questa parola perché, per far felici gli uomini, non è sufficiente fondare i loro rapporti sulla giustizia, che attribuisce asetticamente a ciascuno il suo: io vi parlo della carità, che comprende e supera la giustizia, e della carità di Cristo, che non è carità ufficiale ma affetto.

18. In ambito sociale, pertanto, evitate sempre di mettere le persone una contro l’altra, perché un cristiano non può avere mentalità classista, di casta. Non abbassate gli uni per innalzare gli altri, perché in questo modo di fare si cela sempre una concezione materialistica: date a tutti la possibilità di sviluppare la propria personalità e di elevare la propria condizione attraverso il lavoro. Non vi accontentate di evitare gli odi, perché rientra nel nostro denominatore comune fare una semina di pace e di amore.

Figli miei, nell’intraprendere il vostro lavoro, qualunque esso sia, esaminate alla presenza di Dio se è davvero uno spirito cristiano quello che informa il vostro agire, tenendo presente che il cambiamento delle circostanze storiche, che modifica le strutture sociali, può far sì che ciò che in un dato momento era giusto e buono poi smetta di esserlo. Pertanto, dovete sempre esercitare una critica costruttiva che contrasti l’azione paralizzante e distruttiva dell’inerzia.

19. Dobbiamo conquistare per Cristo tutti i nobili valori umani: quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri[38]. Dobbiamo riportare immediatamente a Cristo qualunque realtà emerga nella vita degli uomini, scoprendone il significato divino. Come vi ho ripetuto tante volte, non perdete mai il punto di vista soprannaturale. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre[39].

Senza perdere mai il contatto con le strutture di questo mondo, sempre in linea con i tempi, non avrete mai bisogno del cosiddetto aggiornamento, perché nutrirete una speranza comprensiva e responsabile nei confronti del mondo di qualunque epoca, con il desiderio che si affermino i valori della libertà e della dignità della persona nel vostro servizio svolto in spirito di unità e di carità.

Il Signore ha voluto che esprimiamo con la nostra vocazione una visione ottimistica della creazione, l’amore per il mondo che palpita nel cristianesimo. La speranza non può mai mancare, né nel vostro lavoro né nel vostro impegno per costruire la città terrena. Allo stesso tempo, come discepoli di Cristo che hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri[40], tenete vivo il senso del peccato e la consapevolezza della necessità di una generosa riparazione, in opposizione al falso ottimismo dei nemici della croce di Cristo[41] che misurano tutto esclusivamente in termini di progresso e di forze umane.

Costoro commettono il grande peccato di dimenticare il peccato, e alcuni pensano addirittura di averlo tolto di mezzo. Non si rendono conto che l’economia della Redenzione prevede che il chicco di frumento, per essere fecondo, deve essere sepolto nella terra e morire[42]. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose[43].

20. Con profonda umiltà, facendo affidamento sul nome del nostro Dio e non sui nostri carri da battaglia e sui nostri cavalli[44], siate presenti senza timore in tutte le iniziative e in tutte le organizzazioni degli uomini, perché lì sia presente Cristo. In riferimento al nostro modo di lavorare, ho utilizzato le parole della Scrittura: ubicumque fuerit corpus, illic congregabuntur et aquilae[45], perché Dio nostro Signore ci domanderà conto e ragione del nostro operato se, per negligenza o pigrizia, ognuno di voi, in piena libertà, non cercherà di partecipare alle iniziative e alle decisioni degli uomini dalle quali dipendono il presente e il futuro della società. Una caratteristica distintiva della vostra vocazione è saper intervenire prudentemente, il che non vuol dire timidamente, nelle varie associazioni e organizzazioni pubbliche e private di ambito locale, nazionale o internazionale, in modo attivo e discreto, come agiscono gli angeli, invisibili ma efficacissimi.

Non potete essere assenti – sarebbe un delitto di omissione – da assemblee, congressi, esposizioni, incontri di scienziati o di operai, corsi di formazione, ovvero da qualunque iniziativa scientifica, culturale, artistica, sociale, economica, sportiva. Talvolta ne sarete i promotori, ma per lo più le organizzeranno altri e voi parteciperete. Vi sforzerete sempre di non assistervi passivamente ma, sentendo il grato peso della vostra responsabilità, farete in modo di rendervi necessari, per il vostro prestigio, la vostra iniziativa, la vostra energia, così da dare il tono appropriato e infondere lo spirito cristiano in tutte le organizzazioni di cui vi parlavo.

21. Dovete far parte, individualmente e in modo attivo, delle associazioni ufficiali e private, che non sono mai estranee al bene temporale ed eterno degli uomini, senza costituire un gruppo, il che è impossibile dato che godete, tutti e ciascuno, di una libertà illimitata nell’ambito temporale. Anche una società di cacciatori o di collezionisti, tanto per fare un esempio, possono essere utilizzate per fare del gran bene o del gran male: tutto dipende dagli uomini che le dirigono o ne sono gli ispiratori.
Sebbene, come vi ho detto, operiate in questi ambiti individualmente, con libertà e responsabilità personali, sappiate che rendete un servizio a Dio nostro Signore quando formate accanto a voi, dando loro orientamenti e senza stravolgerne le inclinazioni, dei fratelli che possano sostituirvi o succedervi perché non accada che, venendo a mancare uno di voi, qualche settore rimanga scoperto.

22. I primi cristiani fecero così. Non avevano programmi sociali o progetti umani da realizzare in ragione della loro vocazione soprannaturale, ma erano impregnati di uno spirito e di una concezione della vita e del mondo che non potevano non avere conseguenze nella società cui appartenevano. Con un apostolato personale simile al nostro, facevano proseliti e san Paolo, durante la sua prigionia, era già in grado di inviare alle chiese i saluti dei cristiani della casa di Cesare[46].

Non vi commuove la bellissima lettera che l’Apostolo scrive a Filemone, viva testimonianza che il lievito di Cristo, senza proporselo direttamente, aveva dato un senso nuovo alle strutture della società servile[47] grazie all’influsso della carità? Siamo di ieri: eppure, abbiamo già invaso tutta la terra e i vostri domini, le città, le isole, le rocche, i municipi, le borgate, gli accampamenti stessi, le tribù, le decurie, la corte, il senato, il foro. A voi abbiamo lasciato solo i templi, scriveva Tertulliano poco più di un secolo dopo[48].

23. Figli miei, riempitevi di speranza e di coraggio: cerchiamo dunque ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole[49] instancabilmente. Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti[50].

Ricordate spesso, perché vi sia di sprone, il lamento del Signore: filii huius saeculi prudentiores filiis lucis in generatione sua sunt[51]; i figli delle tenebre sono più prudenti dei figli della luce. Parole dure ma del tutto calzanti, perché purtroppo si avverano ogni giorno.

Intanto i nemici di Dio e della sua Chiesa si muovono e si organizzano. Con una costanza esemplare preparano i propri quadri, mettono in piedi scuole in cui formare dirigenti e agitatori, diffondono le loro idee nascostamente ma in modo efficace, e portano nelle case e negli ambienti di lavoro il loro germe che distrugge ogni idea di religione.

Figli miei, oggi il marxismo, nelle sue varie espressioni, è vivo: cerca sistematicamente di fondare scientificamente l’ateismo e con una incessante propaganda, non tanto chiassosa quanto da persona a persona, critica qualsiasi spunto religioso e intende sostituire la vera fede e la vera speranza, presentandosi come una fede e una speranza mondane.

Non comprendo coloro che si dichiarano cattolici e spalancano le braccia al marxismo, condannato ripetutamente dalla Chiesa in quanto incompatibile con il suo insegnamento, danno la mano ai nemici di Cristo e trattano da nemici i cattolici che non la pensano come loro. Il cattolico che maltratta gli altri cattolici e tratta con apparente carità chi non lo è erra gravemente, viola la giustizia, dissimulando il suo errore con una falsa carità. Infatti, la carità disordinata cessa di essere tale.

24. Bisogna imparare dall’avversario. Siate accorti e prudenti e non dormite: hora est iam nos de somno surgere[52]: è ora di bandire la pigrizia e il torpore. Non dimenticate che nel mondo vi sono luoghi che in altre epoche videro un gran fiorire di chiese e attualmente sono terreni incolti in cui non si sente più il nome di Cristo. Sarebbe troppo comodo cercare di giustificare questo fallimento asserendo che rientra nei piani di Dio scrivere diritto sulle righe storte e che la causa di Dio finisce sempre per trionfare.

È vero che Cristo trionfa sempre ma spesso malgrado noi. Senza avere uno spirito bellicoso o aggressivo, in hoc pulcherrimo caritatis bello, con una comprensione che accoglie tutti e collabora con tutti gli uomini di buona volontà – anche con coloro che non conoscono o non amano Cristo, pur senza transigere sugli errori che professano – non dimenticatevi che il Signore ha detto: non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada[53]. È molto facile considerare solo la mansuetudine di Gesù ed eludere, poiché danno fastidio alla pigrizia e al conformismo, le sue parole, anch’esse divine, con cui ci sprona a complicarci la vita.

25. A noi uomini, di solito, non piace dire e difendere la verità, perché è più comodo cercare di piacere a tutti, senza correre il rischio di disgustarsi con qualcuno. Dobbiamo, figli miei, mantenere un atteggiamento comprensivo, amorevole. Non abbiamo nemici, non possiamo mai essere settari: ci sforziamo di annegare il male nell’abbondanza di bene. Non facciamo un lavoro negativo, contro qualcosa. È affermazione, gioventù, gioia e pace, non, però, a scapito della verità. Poiché coltiviamo la libertà e la personalità di ciascuno, noi, figli di Dio nella sua Opera, siamo persone che sanno pensare con la propria testa, che non accettano acriticamente le banalità, i luoghi comuni che fanno furore o sono di moda in una certa epoca. La nostra formazione ci insegna a vagliare le cose, prendendo ciò che è buono e lasciando perdere tutto il resto.

Spesso bisognerà andare contro corrente, come abbiamo fatto quasi sempre, ideando nuovi procedimenti e aprendo nuove strade, non per il desiderio di essere originali ma per lealtà a Cristo e ai suoi insegnamenti. Seguire la corrente è facile ma mostrarsi arrendevoli denota spesso una mancanza di responsabilità.

Non c’è dubbio che dovete vivere senza anacronismi in mezzo alla gente del vostro tempo, condividendone la mentalità e i costumi, però pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi[54]. Non può succedere che il fatto di non dovervi adattare, perché siete in mezzo a gente come voi, impedisca di riconoscervi come discepoli del Signore. Quanto sentimentalismo, quanto timore e quanta viltà ci sono in certe smanie di adattamento!

26. Figli della mia anima, dietro le mie parole non dovete vedere altro che un grandissimo amore per tutti gli uomini, un cuore aperto a tutte le loro preoccupazioni e problemi, una comprensione senza limiti, che non conosce discriminazioni ed esclusivismi.

Rendetevi conto che ciò che ci spinge a non perderci d’animo – caritas enim Christi urget nos[55] –, a essere sempre insoddisfatti delle posizioni raggiunte, a non dormire sugli allori, non è il timore, visto che non abbiamo paura di nulla e di nessuno, e tanto meno di Dio che è nostro Padre, ma il senso di responsabilità di chi un giorno dovrà render conto al Signore della propria missione di corredentore.

Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito[56], fate buon uso del tempo[57], perché la vita è breve: poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede[58]. Riempite d’amore questo nostro povero mondo, perché ci appartiene, è opera di Dio e ce ne ha fatti eredi: dabo tibi gentes hereditatem tuam et possessionem tuam terminos terrae[59]. Sappiate bene che chiunque sa fare il possibile ma Dio nostro Signore ci chiede di fare cose che ci sembreranno impossibili e ci concede la sua grazia per riuscirci.

27. Non fate teorie, siate realisti. Vedete cose così grandi, tanto da fare, tante iniziative, tante possibilità, che potreste darvi per soddisfatti e dimenticarvi delle cose concrete – hodie, nunc – che un giorno vi permetteranno di realizzare tutto ciò.

In questa bellissima lotta, mantenete la serenità. L’agitazione disordinata è perniciosa. Corripite inquietos[60] scriveva san Paolo alla comunità dei cristiani di Tessalonica. Sentiamo infatti – diceva loro – che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione[61] e indicava loro l’unico rimedio, che non è altro che il compimento del dovere: quando facciamo quello che dobbiamo e abbiamo il controllo di ciò che facciamo, stiamo realizzando i grandi progetti di Dio. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo – continuava l’Apostolo –, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità[62].

28. Quanto si aspetta il Signore dal vostro lavoro perseverante, appassionato ed entusiasta, anche se spesso mancano una passione e un entusiasmo sensibili, volto a cristianizzare tutte le attività terrene: mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane!

Questo lavoro compete in particolare ai miei figli soprannumerari, anche alle donne, così energiche – talvolta più degli uomini – nel portare il sale e la luce di Cristo in tutti gli ambienti in cui operano: la famiglia, la vita sociale, le più diverse attività professionali.

Rileggete quel passo dell’Antico Testamento in cui Giuditta ribalta la decisione del popolo e dei suoi capi che intendono consegnare la città all’esercito nemico. Dice il testo sacro: Venne dunque a conoscenza delle parole esasperate che il popolo aveva rivolto al capo della città (…). Subito mandò la sua ancella che aveva in cura tutte le sue sostanze a chiamare Cabrì e Carmì, che erano gli anziani della sua città. Vennero da lei ed ella disse loro: “Ascoltatemi, capi dei cittadini di Betulia. Non è un discorso giusto quello che oggi avete tenuto al popolo (…). Chi siete voi dunque che avete tentato Dio in questo giorno e vi siete posti al di sopra di lui in mezzo ai figli degli uomini? Certo, voi volete mettere alla prova il Signore onnipotente, ma non comprenderete niente, né ora né mai[63]. Un rimprovero pieno di energia e di audacia che rivela come una donna piena di Dio e di ardimento, fedele alla sua coscienza, può influire sul corso della vita pubblica, di solito in modo silenzioso, discreto ed efficacissimo, quando si tratta di difendere gli interessi di Cristo. Meditate anche sulla fortezza di Maria Santissima e delle sante donne che rimasero ai piedi della croce con fortezza e determinazione, mentre gli uomini disertavano, nel momento della viltà generale.

Figlie e figli miei, se conservate il buono spirito si potrà dire di voi oggi ciò che gli Atti dicono degli apostoli di Gesù: molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli[64]. I vostri non saranno miracoli spettacolari ma vi garantisco che saranno veri miracoli.

29. Nella vita professionale e pubblica e, in genere, in tutto l’ambito temporale, ognuno di voi opera con libertà e responsabilità personale, formandosi le proprie opinioni per come gli detta la coscienza e con una meravigliosa varietà di opzioni possibili.

Non esiste la possibilità che compromettiate né la Chiesa né l’Opera, perché possedete una mentalità pienamente laicale e quindi amica di una libertà che è delimitata soltanto dalla dottrina e dalla morale di Cristo.

I fini e i mezzi dell’Opera di Dio non sono temporali ma tutti esclusivamente soprannaturali, spirituali. L’Opera esclude, è estranea a interessi umani, politici, economici. Per sua natura trascende la società terrena e, pertanto, non potrà mai vincolarsi a una determinata cultura, legarsi a una particolare situazione politica o rimanere ancorata a una data epoca della storia del mondo.

Talvolta l’Opus Dei propone istituzionalmente attività e iniziative apostoliche. Sono iniziative educative, di propaganda cristiana, di assistenza, note a tutti e aperte a tutti, anche ai non cattolici e ai non cristiani, create nel rispetto della legislazione civile di ogni paese. Tali opere corporative non sono attività ecclesiastiche ma solo e semplicemente iniziative professionali di alcuni cittadini, sebbene con caratteristiche e fini apostolici.

30. Che la nostra Opera sia totalmente estranea agli interessi mondani, alle iniziative economiche e alle strutture societarie, alla politica, non significa tuttavia che resti indifferente allo spirito che deve animare le istituzioni della città terrena o alla mancanza di tale spirito. Ci importa che i cittadini siano pienamente consapevoli dei loro doveri civici e che li adempiano con rettitudine e con un senso cristiano della vita.

Ho detto tante volte che nel catechismo della dottrina cristiana che si insegna ai bambini dovrebbero essere incluse alcune domande e risposte circa tali doveri perché, fin dall’infanzia, si imprima nella loro mente che sono precetti divini e più avanti, divenuti adulti, si sentano obbligati in coscienza ad adempierli.

31. Talvolta viene fraintesa la distinzione che pose il Signore tra le cose di Dio e quelle di Cesare[65]. Cristo definì le giurisdizioni di due autorità, la Chiesa e lo Stato, per scongiurare gli effetti nocivi del giurisdizionalismo e del clericalismo. Sancì la dottrina di un sano anticlericalismo che è amore autentico e profondo per il sacerdozio – è penoso che l’eccelsa missione sacerdotale si abbassi e si degradi intromettendosi in faccende mondane e meschine – e affermò l’autonomia della Chiesa di Dio e la legittima autonomia della società civile quanto al suo regime e alla sua strutturazione tecnica.

La distinzione stabilita da Cristo, tuttavia, non significa in alcun modo che si debba relegare la religione al tempio, alla sagrestia, o che le realtà umane siano da gestire ai margini di ogni legge divina e cristiana. Vorrebbe dire rinnegare la fede di Cristo, che richiede l’adesione di tutto l’uomo, anima e corpo, individuo e membro della società.

Il messaggio cristiano illumina l’intera vita degli uomini, di tutta la persona, non solo l’ambito ristretto di alcune devozioni praticate a seconda delle preferenze individuali. Il laicismo, invece, è il rifiuto della fede operosa, che sa che l’autonomia del mondo è relativa e che su questa terra il senso ultimo di ogni cosa risiede nella gloria di Dio e nella salvezza delle anime.

32. Capite pertanto perché all’Opera, come alla Chiesa, di cui è un organo vivo, interessi la società umana, in cui vi sono diritti inalienabili di Cristo da proteggere. Ci si può anche spingere a dire che tutta l’attività apostolica dell’Opus Dei si riduce a dare dottrina, affinché tutti i suoi membri e le persone che ne ricevono la formazione svolgano singolarmente una azione apostolica di indole professionale, santificando la professione, santificandosi nella professione e santificando gli altri con la professione.

Vi ho detto tante volte che di solito l’Opera non svolge un’azione esterna, come se non esistesse. Sono i suoi membri ad agire nell’ambito della legislazione civile di ogni paese, di cui sono rispettosi. L’attività dell’Opus Dei è volta principalmente a impartire ai soci una intensa formazione spirituale, dottrinale e apostolica.

Il lavoro dell’Opera è come una grande catechesi, un vasto impegno di direzione spirituale che illumina, consiglia, indirizza, sprona e rafforza la coscienza di tante anime affinché non si imborghesiscano, serbino viva la loro dignità cristiana, esercitino i diritti e adempiano i doveri di cittadini cattolici responsabili.

33. Figlie e figli miei soprannumerari, la formazione che l’Opus Dei vi dà è flessibile: si adatta alla vostra situazione personale e sociale come un guanto alla mano. Nella direzione spirituale potete esporre con grande schiettezza le circostanze del vostro lavoro e della vostra famiglia, i vostri obblighi sociali, perché, pur essendo unici per tutti lo spirito e i mezzi ascetici, si possono e si devono concretizzare senza rigidità a seconda della situazione di ciascuno.

Parlate sinceramente con i vostri Direttori, affinché le eventuali difficoltà, spesso immaginarie e che hanno sempre una soluzione, non turbino mai la libertà e la pace del vostro spirito. Tenete presente che la formazione spirituale che riceviamo è agli antipodi della complicazione, dello scrupolo, dell’inibizione: quello dell’Opera è uno spirito di libertà, ci semplifica la vita, ci impedisce di essere contorti, ingarbugliati, ci porta a dimenticarci di noi stessi e a preoccuparci generosamente degli altri. Solo in casi eccezionali dovrete recarvi nelle case in cui abitano in famiglia i numerari per ricevere la formazione: è più rispettoso della discrezione incontrare i direttori e gli zelatori sul vostro posto di lavoro, a casa vostra, per la strada, da dove il Signore ci ha presi con la chiamata. Per ricevere la formazione collettiva non è indiscreto recarsi nella sede di una delle nostre opere apostoliche, perché hanno porte e finestre spalancate e sono aperte a tutti.

34. L’Opera, assieme alla formazione ascetica, vi offre una solida formazione dottrinale che è parte integrante del denominatore comune, l’aria di famiglia, di tutti i figli di Dio nel suo Opus Dei. Avete bisogno di una base di idee chiare sui temi fondamentali, per essere in grado di illuminare tante menti e di difendere la Chiesa dagli attacchi che a volte la raggiungono da ogni lato: idee chiare sulle verità dogmatiche e morali; sui principi essenziali della famiglia e dell’insegnamento cristiano; sui diritti al lavoro, al riposo, alla proprietà privata, ecc.; sulle libertà fondamentali di associazione, di opinione, ecc. Potrete così sperimentare gioiosamente la verità di quelle parole: veritas liberabit vos[66], perché la verità vi darà gioia, pace ed efficacia.

Nelle convivenze annuali, che vi aiutano a mantenere il fervore degli inizi, migliorano la vostra cultura religiosa e vi fortificano per l’apostolato, nei circoli di studi, nelle conferenze, nei corsi speciali, ecc., ricevete assiduamente una formazione dottrinale ampia e una costante informazione sui temi caldi dell’attualità inquadrati con un criterio di giudizio cristiano.

Completerete tale formazione con alcune letture: avrete sempre la possibilità di iscrivervi a qualche biblioteca circolante e di farvi iscrivere anche altre persone che non appartengono all’Opera. Impegnatevi molto ad assimilare gli insegnamenti che ricevete in modo che non ristagnino, e sentite il bisogno e il grato dovere di portare ad altre menti la vostra formazione, affinché si concretizzi in opere buone, piene di rettitudine, anche in altri cuori.

A questo scopo è indispensabile che i direttori locali che si occupano dei soprannumerari si impegnino con dedizione nel loro lavoro, perché nessun soprannumerario, nessuno dei miei figli, si senta mai solo. Bisognerà anche programmare accuratamente la loro formazione durante le ferie e per eventuali situazioni di isolamento.

I miei figli incaricati di governare e dirigere i propri fratelli dovranno spesso rinunciare a figurare in ambito professionale per essere le fondamenta nascoste di un lavoro di portata molto più ampia. Non devono poi dimenticare che le attività di governo e di formazione, come quelle di chi si dedica a tempo pieno alle nostre iniziative apostoliche istituzionali, sono sempre anch’esse un lavoro professionale.

35. L’Opera forma i suoi membri affinché ognuno di loro, con la sua libertà, svolga il proprio lavoro in mezzo al mondo con spirito cristiano. I direttori dell’Opera non potranno mai imporre alcuna opinione in questioni temporali e ciascuno di voi – ripeto – agisce in piena libertà secondo ciò che gli detta la sua coscienza ben formata.

Nel 1939, subito dopo la fine della guerra civile spagnola, predicai nei dintorni di Valencia un corso di ritiro spirituale nel collegio universitario di una fondazione privata. Durante la guerra era stato trasformato in caserma dai comunisti. In un corridoio trovai una grande scritta, fatta da qualche non conformista, che recitava: ogni viandante segua il suo cammino. Volevano toglierla ma io li fermai: lasciatela – dissi loro –, mi piace: possiamo imparare anche dagli avversari[67]. Specialmente da allora, quelle parole mi sono servite spesso di spunto per la predicazione. Libertà: ogni viandante segua il suo cammino. È assurdo e ingiusto cercare di imporre agli uomini di pensarla tutti allo stesso modo su questioni in cui la dottrina di Cristo non pone limiti.

Libertà assoluta in tutto l’ambito temporale, perché non esiste un’unica formula per regolare in senso cristiano le cose del mondo: vi sono molte formule tecniche per risolvere i problemi sociali, scientifici, economici e politici; saranno tutte cristiane purché rispettino quel minimo di principi che non si possono ignorare senza violare la legge naturale e gli insegnamenti evangelici.

Libertà nell’ambito temporale e anche nella Chiesa, figli miei. Sono molto anticlericale, dell’anticlericalismo sano di cui vi parlo tanto spesso, e lo sarà anche chi condivide il mio spirito. Negli ambienti clericali, carenti del buono spirito sacerdotale, si creano troppo spesso dei monopoli con il pretesto dell’unità, si cerca di intruppare le anime, si attenta alla libertà delle coscienze dei fedeli, che devono poter andare a cercare dove meglio credono e da chi preferiscono la direzione e la formazione spirituale; si moltiplicano divieti inutili – sarebbe già molto se si osservassero i comandamenti di Dio e i precetti della Chiesa – che creano conflitti psicologici in chi li deve rispettare.

36. Libertà, figli miei. Non aspettatevi mai dall’Opera consegne temporali. Non possederebbe il mio spirito chi osasse forzare la libertà che l’Opera riconosce ai suoi figli, per imporsi alla personalità individuale di ogni figlio di Dio nell’Opus Dei.

Siete voi che dovete essere pronti, grazie alla formazione che ricevete, a decidere spontaneamente come comportarvi di fronte ai problemi umani e sociali che richiedono una risposta corretta.

Spetta a voi e ai vostri concittadini correre coraggiosamente il rischio di cercare soluzioni umane e cristiane ai problemi di ordine temporale in cui vi imbatterete, a seconda di quel che vi detta la coscienza, perché non c’è mai una risposta unica. Sarebbe inutile aspettarsi che l’Opera vi desse le soluzioni bell’e fatte: non è capitato, non capita e non capiterà mai, è contro la nostra natura. L’Opera non è paternalista, nel senso peggiorativo di questa parola di significato ambiguo. I direttori confidano nella vostra capacità di reazione e di iniziativa: non vi prendono per mano. Sul piano spirituale nutrono per voi sentimenti paterni, addirittura materni, improntati a un paternalismo buono.

È impossibile, pertanto, che formiamo nel seno della società un cosiddetto gruppo di pressione, proprio in virtù della libertà di cui godiamo nell’Opus Dei. Infatti, non appena i direttori esprimessero un concreto punto di vista su una questione temporale, tutti gli altri membri dell’Opus Dei che la pensassero diversamente si ribellerebbero legittimamente e io mi troverei nella penosa situazione di dover benedire e lodare chi rifiutasse categoricamente di obbedire – ma deve informarne quanto prima i direttori regionali o il Padre – e rimproverare con santa indignazione i direttori che pretendessero di esercitare un’autorità che non hanno. Sarebbero meritevoli di biasimo severo anche i miei figli che in nome della propria libertà volessero limitare la legittima libertà dei propri fratelli, cercando di imporre il loro punto di vista su questioni temporali o opinabili.

Coloro che si ostinano a non vederci chiaro e a inventarsi segreti mai esistiti e di cui non ci sarà mai bisogno, lo fanno certamente ex abundantia cordis, perché loro sono abituati così. Non potranno mai camminare a testa alta e guardare gli altri limpidamente negli occhi come noi, perché non abbiamo nulla da nascondere, anche se ognuno ha le proprie miserie e lotta interiormente per contrastarle.

37. Il fatto è che in questi trentun’anni alcuni hanno guardato con invidia al nostro lavoro, altri con poca simpatia, perché non provano simpatia per la Chiesa che serviamo per il bene di tutti gli uomini; ci sono poi alcuni, pochi per fortuna, che, avendo una mentalità clericale, non sono in grado di comprendere il lavoro essenzialmente laicale dei miei figli. Ci sono anche altri che non sanno o non vogliono ricordare che Dio nostro Signore concede una grazia particolare alle anime che gli si dedicano, e per spiegare la vivacità, la diffusione e l’efficacia degli apostolati dell’Opera si inventano motivazioni umane, assolutamente false, perché i suoi fini sono soprannaturali come sono spirituali i mezzi che utilizziamo: la preghiera, il sacrificio e il lavoro santificato e santificante.

C’è chi non è capace di rispettare e comprendere la libertà degli altri, ed è impermeabile all’idea che i membri dell’Opus Dei possano avere in comune un fine solamente spirituale e che concordino solo su quello, che godano nelle questioni temporali della stessa libertà degli altri laici loro concittadini e che debbano convivere fraternamente con tutti.

Alcune di queste persone, vi dicevo, vengono dal chiuso delle sagrestie e sono abituate a vedere che i religiosi sono soliti esprimere le loro opinioni d’accordo con la scuola della rispettiva famiglia religiosa o con il pensiero dei loro superiori. Con questo pregiudizio di natura clericale hanno voluto pertanto etichettare l’Opus Dei o me personalmente come monarchico o repubblicano, quando non mi hanno chiamato massone, perché non ho escluso alcuna anima dalla nostra attività di figli di Dio.

38. Il vostro lavoro apostolico, figli miei, non è un’attività ecclesiastica[68] e sebbene di per sé nulla impedisce che facciate parte di qualche associazione di fedeli, non sarà la cosa normale, perché lo specifico apostolato per il quale l’Opera vi prepara, quello che Dio vuole da noi, non ha carattere confessionale[69]. Con la nostra discrezione, viviamo una meravigliosa umiltà collettiva, poiché lavorando silenziosamente, senza far sfoggio di risultati e di successi ma anche, ripeto, senza misteri o segreti che non ci servono per servire Dio, non vi distinguete dagli altri fedeli cattolici, proprio perché tali siete, e non ricevete applausi per il buon seme che spargete.

Ad ogni modo, in particolare in ambienti rurali, dove fare diversamente potrebbe risultare strano, alcuni di voi possono impegnarsi in confraternite e in altre attività apostoliche parrocchiali, per animarle e ravvivarle, senza però assumere, di solito, incarichi direttivi. Pertanto, coloro che dirigono associazioni di fedeli che, disgraziatamente, aspirano al monopolio, non devono temere che ci sostituiamo al loro esclusivismo dittatoriale, perché per noi è pacifico che per fare quel lavoro ci sono già loro. Noi dobbiamo seguire il nostro stile che è ben diverso.

Da fedeli cristiani quali siete, tuttavia, se le circostanze esterne e una maggiore efficacia apostolica non consigliano di fare diversamente, partecipate alle cerimonie del culto pubblico che la società in quanto tale deve rendere a Dio. Mi è capitato spesso di osservare con rammarico cerimonie di culto in cui mancava la comunità, la famiglia, il popolo di Dio. Sono certo che, grazie alla vostra fedeltà, si potrà celebrare un culto pubblico sobrio e dignitoso, senza le esagerazioni ed esasperazioni che spesso lo rendono alquanto pittoresco.

39. Torno a dirvi, figli miei, che dovete dedicarvi al vostro apostolato specifico come cittadini che professano una piena e sincera fedeltà alle autorità statali, secondo la dottrina evangelica e apostolica[70], obbediscono fedelmente alle leggi civili, osservano tutti i doveri civici, senza sottrarsi ad alcuno, e esercitano tutti i diritti, senza dimenticarne imprudentemente alcuno, per il bene della collettività. Un esempio vivo da imitare nell’esercizio dei diritti civili lo troviamo più di una volta nel comportamento di san Paolo, come riferisce il libro degli Atti degli Apostoli. Con una fermezza virile che potrà sembrare arroganza ai timidi ma è fortezza d’animo senza inibizioni, l’apostolo dichiara, quando è necessario, la sua condizione di cittadino romano e pretende, senza falsa umiltà, di essere trattato come tale: ci hanno percosso in pubblico e senza processo, pur essendo noi cittadini romani, e ci hanno gettato in carcere; e ora ci fanno uscire di nascosto? No davvero! Vengano loro di persona a condurci fuori![71].

Con questa stessa fermezza parlava al carceriere di Filippi. È meravigliosa, poi, la conversazione piena di signorilità che Paolo, sul punto di essere flagellato a Gerusalemme, mantiene con il tribuno: quando l’ebbero disteso per flagellarlo, Paolo disse al centurione che stava lì: “Avete il diritto di flagellare uno che è cittadino romano e non ancora giudicato?”. Udito ciò, il centurione si recò dal comandante ad avvertirlo: “Che cosa stai per fare? Quell’uomo è un romano!”. Allora il comandante si recò da Paolo e gli domandò: “Dimmi, tu sei romano?”. Rispose: “Sì”. Replicò il comandante: “Io, questa cittadinanza l’ho acquistata a caro prezzo”. Paolo disse: “Io, invece, lo sono di nascita![72].

Figli miei, i commenti sono superflui: prendete esempio.

40. Ho già avuto occasione di sottolinearvi la deprecabile progressiva ingerenza dello stato nella sfera privata e la schiavitù che comporta per i cittadini, privati delle loro legittime libertà. E vi ho fatto notare che lo stato è freddo e senza cuore, per cui il suo totalitarismo diventa peggiore della più dura servitù feudale.

Lasciando da parte altri motivi, se ciò capita si deve in gran parte all’inerzia dei cittadini, alla loro passività nella difesa dei sacri diritti della persona umana. Questa inerzia, che nasce dalla pigrizia mentale e dalla paralisi della volontà, si diffonde anche tra i cittadini cattolici che non riescono a rendersi conto che ci sono altri peccati, oltre a quelli contro il sesto comandamento del Decalogo, e anche più gravi.

41. Figlie e figli miei, dalla missione che Dio ci ha affidato e dal carattere pienamente secolare della nostra vocazione, consegue che nessun avvenimento, nessuna attività degli uomini può esserci indifferente. Motivo per cui torno a dirvi che dovete essere presenti nelle attività sociali che nascono dalla convivenza umana o che vi influiscono direttamente o indirettamente: dovete dare vita e anima ai collegi professionali, alle associazioni di genitori e a quelle delle famiglie numerose, ai sindacati, alla stampa, alle associazioni e ai concorsi artistici, letterari, sportivi, ecc.

Ognuno parteciperà a queste attività pubbliche a seconda della sua condizione sociale e nella maniera più adeguata alla sua situazione personale e, naturalmente, con libertà assoluta, sia che agisca individualmente, sia che collabori con i raggruppamenti sociali con cui ritiene opportuno cooperare. Capite bene che la partecipazione alla vita pubblica di cui vi parlo non è attività politica in senso stretto: i miei figli che si dedicano professionalmente alla vita politica sono molto pochi.

Sto parlando della partecipazione che compete a ogni cittadino consapevole dei suoi doveri civici. Vi devono spingere a intervenire, con libertà e responsabilità personali, tutti gli stessi nobili motivi che muovono i vostri concittadini. Inoltre, dovete sentirvi sospinti in particolare dallo zelo apostolico e dal desiderio di portare la pace e la comprensione in tutte le attività umane.

42. Se saprete stimolare i vostri concittadini, creando insieme con loro un clima in cui nulla viene imposto senza che la società esprima il suo legittimo sentire, potrete orientare cristianamente l’attività legislativa delle vostre comunità nazionali, soprattutto riguardo ai punti chiave della vita sociale: le leggi sul matrimonio, l’insegnamento, la moralità pubblica, la proprietà, ecc.

Come può essere cristiano un ordinamento giuridico in cui il rispetto della famiglia è fondato sul divorzio? Qual è la logica delle società che vanno orgogliose del loro pluralismo religioso e poi non lo accettano nelle scuole pubbliche, dove ogni alunno dovrebbe poter esercitare il diritto di ricevere l’educazione religiosa conforme alla propria fede?

Non vedete che la proprietà privata, nei limiti imposti dal bene comune, è per l’uomo uno strumento di libertà, uno dei beni fondamentali per lo sviluppo della personalità umana e della famiglia? I paesi in cui tali diritti non sono rispettati non sono né cattolici né umani. Vedete che panorama avete davanti?

La vostra lotta verterà su questi e altri punti di capitale importanza e dovrete lottare con valore!

43. Dedicatevi attivamente ai nostri cooperatori. Aumentatene il numero senza timore: quanti più sono, tanto meglio! Occupatevene, formateli, fate in modo che abbiano sempre qualcosa da fare, un incarico da svolgere. Manteneteli in movimento, come negli allenamenti sportivi. Ampliate di continuo la vostra cerchia di amicizie a cui trasmettere, nei modi opportuni, dottrina e incoraggiamento. Otterrete così che la rete divina raggiunga la massima estensione e risulti efficace pur essendo a maglie larghe. Se manterrete vibrante questo buono spirito apostolico, farete un bene incalcolabile, delicato ed energico allo stesso tempo, all’ umanità intera.

Anche le comunità religiose, specialmente quelle di clausura, che accogliamo come cooperatrici e che comprendono assai bene il nostro spirito di contemplazione in mezzo al mondo, ci aiuteranno con la loro preghiera e la loro vita nascosta. Loro sono contemplative nella separazione dal mondo, noi nel seno della società civile e all’interno delle sue strutture. Sono due espressioni specificamente diverse del medesimo amore per Cristo.

Tra di noi ci sono tanti amici e cooperatori, che lavorano generosamente gomito a gomito nelle iniziative apostoliche o ci danno l’aiuto necessario per poter lavorare. Alcuni sono lontani da Dio nostro Signore o non lo conoscono. Meditate le parole di san Pietro: satagite ut, per bona opera, certam vestram vocationem et electionem faciatis[73]. Fate sì che questi nostri amici, che ci sono cari come fratelli, perseverino nel fare il bene e siate certi che molti riceveranno la grazia di saper rispondere alla vocazione cristiana se li aiuteremo con la preghiera e l’amicizia sincera, rispettando sempre pienamente la loro libertà.

44. Non dimenticate che il nostro apostolato è essenzialmente dottrinale[74] , perché, come vi ho detto migliaia di volte, l’ignoranza è il maggior nemico della fede. San Paolo scriveva ai Romani: come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci?[75].

Voi sentite la grande responsabilità di diffondere l’annuncio e perciò considerate molto importante l’insegnamento, privato o pubblico, individuale o collettivo, primario, medio o superiore, anche se saremo pochi a lavorare in questo campo.

Per lo stesso motivo, cercate di vivificare i mezzi di comunicazione che creano l’opinione pubblica: stampa, radio, televisione, cinema, ecc. Quelli di voi che vi lavorano non stanno istruendo un gruppetto di persone, come quando presiedete un Circolo o pronunciate una conferenza, ma predicano alle folle all’aria aperta, come faceva il Signore.

C’è una spaventosa ignoranza religiosa e buona parte della colpa è di noi cristiani, perché non diffondiamo la dottrina attraverso tutti i mezzi di comunicazione, sempre più perfezionati e sempre più influenti, che così spesso sono controllati dai nemici di Dio.

45. A questo mondo, figli miei, la cosa peggiore è che la gente faccia cose terribili senza rendersene conto. Proclamate la verità senza stancarvi, opportune, importune[76], anche se alcuni non ci daranno retta o non vorranno crederci. Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur: ecco il motivo per cui non ci ascoltano. Possiamo anche offrire loro il vino delle nozze di Cana, testimonianza del primo miracolo di Gesù, prima rivelazione pubblica della sua divinità, ma una volta versato nella loro coscienza diventerà aceto. Ciò nonostante, continuiamo a versare buon vino dicendo la verità! Come Gesù, ognuno di noi, ipse Christus, deve poter affermare: per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità[77].

Figli miei, bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri[78]. Ne sappiamo ben qualcosa noi – e qui va bene il noi, visto che l’abbiamo sofferto nella nostra carne – del dolore, della maldicenza, della menzogna e della calunnia: quintali di fango versati a volte da cattolici e persino da sacerdoti. Omnia in bonum! Come il Nilo che ritirandosi dopo una inondazione lasciava il limo a fertilizzare la campagna, quelle ondate di sporcizia, figli miei, ci hanno riempiti di fecondità.

46. Continuate a organizzare periodicamente piccole tertulie con amici e colleghi (sono di particolare interesse quelle con professionisti della comunicazione), in cui si presentano temi di attualità, suggerendo idee corrette con il “dono delle lingue”.

Mantenete conversazioni idonee in uffici e luoghi pubblici. Non perdete occasioni, anzi provocatele voi, per dire la verità e seminare il buon seme. Comportatevi saggiamente con quelli di fuori, cogliendo ogni occasione. Il vostro parlare sia sempre gentile, sensato, in modo da saper rispondere a ciascuno come si deve[79].

Penso con fiduciosa speranza ai miei figli che fanno i giornalai e gli edicolanti, a quelli che lavorano nelle case editrici, nelle redazioni di periodici o nelle aziende di arti grafiche, e a quelli che per motivi di lavoro, anche in impieghi apparentemente modesti, sono in rapporto ogni giorno con molte persone.

47. Voi genitori organizzate occasioni di svago sano e divertente, evitando sia il moralismo ipocrita, sia il clima mondano che offende la morale cristiana. Da questi incontri nasceranno, benedetti dal Signore, dei matrimoni tra i vostri figli, che erediteranno la felicità e la pace che hanno sperimentato nei vostri focolari luminosi e lieti.

Non dimenticate che il punto strategico essenziale che dovete difendere nell’apostolato del divertimento, con il vostro impegno civico, è la moralità degli spettacoli pubblici: è difficile che una gioventù abituata a vivere in un clima collettivo di facile libertinaggio possa costituire delle famiglie cristiane.

48. Sarebbe una deformazione pensare che l’economia e la finanza non possano essere oggetto di apostolato. Questa idea, corrente tra persone che provengono da ambienti clericali, convive con il paradosso che molti di costoro, facendosi scudo della Chiesa, sono impegnati in affari e iniziative in cui maneggiano molto denaro altrui, di persone che si fidano di loro perché si dicono cattolici. Qualcuno, senza nemmeno troppa malizia, ha detto di loro che hanno gli occhi rivolti al cielo e le mani in pasta. Le riserve e le prevenzioni nei confronti delle iniziative economiche non sono cristiane, perché anch’esse sono attività da santificare come tutte le altre.

Tuttavia, questa diffidenza ha fatto e continua a fare molta presa sui cattolici distogliendoli spesso dal fare il bene mediante il proprio lavoro in ambito economico. Altre volte hanno lavorato con un senso di colpa o addirittura hanno lasciato tali attività in balia di persone ostili alla Chiesa, che hanno saputo e sanno farne uso per danneggiare grandemente le anime.

Tutto ciò è talmente vero, che ci si può divertire a leggere in qualche testo devozionale della tradizione ecclesiastica, giustificabile alla luce della mentalità e del clima dell’epoca, che Pietro, dopo la risurrezione del Signore, poté tornare a fare il pescatore, perché si trattava di un mestiere onesto, mentre Matteo non poté riprendere la sua professione, perché ci sono attività impossibili da svolgere senza correre il grave rischio di commettere peccato o, puramente e semplicemente, senza peccare, e il suo mestiere era proprio una di queste[80].

Dobbiamo mettere fine a questi errori, creati da persone che professavano il comtemptus saeculi: la vostra mentalità laicale non concepisce che ci sia qualcosa di male nell’occuparsi di affari o di finanza, perché sapete svolgere con senso soprannaturale queste attività, come qualsiasi altra, e dare ad esse un orientamento cristiano e apostolico.

49. Già che stiamo parlando di questo tema, voglio dirvi che, purtroppo, non è vero quello che dicono delle nostre attività in campo economico, poco meno che inesistenti. Sono solo quelle che servono per la vita e lo sviluppo di una famiglia numerosa e povera. Magari fossero mille volte di più! Tutte le società, di qualunque tipo esse siano, devono disporre di fondi per le proprie finalità. È un peccato che abbiano torto quando sparlano così di noi! Ma anche se avessero ragione, l’Opera continuerebbe a essere povera, come lo sarà sempre, perché deve sostenere in tutto il mondo tante iniziative apostoliche in deficit; perché deve formare per tutta la vita i propri membri, il che costa denaro; perché deve prendersi cura dei soci malati e anziani; perché ricadrà su di noi l’onere benedetto di fornire un aiuto economico a un numero sempre crescente di genitori dei membri dell’Opera, anziani o malati, che hanno bisogno di sostegno economico per andare avanti, ecc.

Se comunque esistono delle attività economiche, e dovranno esserci quanto prima, le svolgeremo sempre rispettando le leggi del paese, versando imposte e tasse come il più onesto dei cittadini: non vogliamo vivere di privilegi, non è nel nostro stile.

50. Certe volte quelli che sparlano appartengono a qualche consorteria ufficiale che si spartisce il denaro dei contribuenti, contro la volontà del popolo. Al tempo stesso vorrebbero impedirci di respirare e ci contestano il diritto di lavorare e sacrificarci per sostenere e sviluppare opere di beneficenza, iniziative educative, culturali e di propaganda cristiana. Sono nemici della libertà, quella degli altri naturalmente, e vogliono fare discriminazione fra i cittadini.

Qualsiasi genere di associazione, sia religiosa che artistica, sportiva o culturale, per forza deve avere e maneggiare del denaro per gestire gli strumenti necessari per raggiungere i propri obiettivi. Chi ne fa un motivo di scandalo dimostra quanto meno di essere uno sciocco.

Quando si parla di associazioni religiose, vengono subito in mente la Società Biblica o l’Esercito della Salvezza[81], che possiede banche, società assicurative, ecc. Nessuno si scandalizza: ne hanno bisogno per svolgere le loro attività di propaganda e di beneficenza. In molti stati, poi, oltre a non criticare le iniziative economiche di tali associazioni religiose, le esentano dal pagare le imposte a motivo dell’attività sociale che svolgono.

È giusto, pertanto, che in ogni parte del mondo i pubblici poteri ci concedano prestiti e anche donativi. Non farebbero altro che compiere il loro dovere, perché con le nostre iniziative sociali destinate a tutti li solleviamo di una parte dei loro obblighi: se contribuissero nella stessa misura in cui lo fanno per altre istituzioni culturali e benefiche, farebbero semplicemente quello che è giusto.

51. L’Opus Dei, operatio Dei, lavoro di Dio chiede a tutti i suoi membri di lavorare, perché il lavoro è mezzo di santificazione e di apostolato. Per questo motivo, in tutto il mondo, tanti milioni di persone, cattoliche e non cattoliche, cristiane e non cristiane ammirano, amano e sostengono la nostra Opera. Di ciò ringraziamo il Signore.

Alcuni di voi, che ritengono di avere la preparazione necessaria per intervenire attivamente nella vita sociale del proprio paese, si dedicano alla politica con piena libertà e con personale responsabilità. Siete in pochi: la percentuale che si dà normalmente nella società civile. Come tutti gli altri membri dell’Opera nelle rispettive attività temporali, vi muovete in questo campo senza far valere il fatto di essere cattolici o soci dell’Opus Dei, senza servirvi della Chiesa o dell’Opera, perché sapete che non dovete coinvolgere la Chiesa e l’Opera in questioni contingenti. Quando svolgete un’attività pubblica, però, non potete dimenticare che noi cattolici auspichiamo una società di persone libere, tutte con gli stessi diritti e doveri davanti allo stato, che insieme si impegnano concordemente e attivamente a promuovere il bene comune, applicando i principi evangelici, che sono la fonte immutabile dell’insegnamento della Chiesa.

Avete tutto il diritto di realizzare la vostra vocazione politica. Se qualche Stato vi ostacolasse, dovrebbe fare altrettanto con i membri delle altre associazioni di fedeli e, per lo stesso motivo, cioè l’obbedienza che i fedeli professano all’autorità ecclesiastica, a rigor di logica dovrebbero negare a tutti i cattolici praticanti la pienezza dei diritti e il libero accesso alle responsabilità politiche. Non è giusto trattare i cattolici praticanti come cittadini di condizione inferiore, ma nella storia contemporanea non mancano esempi di tali discriminazioni.

Chi di voi sente vocazione per la politica, si impegni senza timore e pensi che se facesse altrimenti peccherebbe di omissione. Lavorate con serietà professionale, attenendovi alle esigenze tecniche del vostro lavoro, avendo di mira il servizio cristiano di tutte le persone del vostro paese e pensando alla concordia di tutte le nazioni.

È un sintomo di mentalità clericale che negli encomi, redatti da persone segregate dal mondo, che la liturgia dedica ai sovrani innalzati agli altari li si elogi per aver retto i propri regni più con la pietà che con l’esercizio della sovranità, pietatis magis quam imperio, più con il cuore che con il buon governo. Voi, per compiere la vostra missione, cercate di agire con animo retto, senza perdere il punto di vista soprannaturale, ma non mischiate il divino con l’umano. Fate tutto come uomini, senza perdere di vista che l’ordine creaturale ha i suoi principi e le sue leggi, che non si possono violentare peccando di angelismo. Il peggior elogio che posso fare di un mio figlio è paragonarlo a un angelo: noi non siamo angeli ma uomini.

52. Chi di voi si è dedicato alla vita pubblica deve sentirsi in dovere di lavorare sotto qualsiasi regime, compresi quelli che non sono improntati a uno spirito cristiano, a meno che la Gerarchia ecclesiastica del paese dia ai cittadini cattolici una diversa indicazione. Infatti, la vostra coscienza si rifiuta di accettare che governino solo i non cattolici e, anche nelle situazioni più avverse per la religione, potrete sempre impedire che si commettano mali peggiori.

È meglio che non cediate il campo in nessun tipo di regime[82] e sarebbe ingiusto che per questo motivo vi tacciassero di collaborazionismo. Figli miei, tanto più in nazioni a maggioranza cattolica, sarebbe incomprensibile che non ci fossero al governo dei cattolici praticanti e responsabili, membri pertanto delle diverse associazioni di fedeli. Se così non fosse, si dovrebbe dire che quei cattolici non sono né praticanti, né responsabili, né cattolici, oppure che la Chiesa è perseguitata.

Quando avrete impegni di governo, fate tutto il possibile per emanare leggi giuste, che i cittadini possano adempiere. Fare diversamente costituisce un abuso di potere e un attentato alla libertà. Deforma inoltre la coscienza delle persone perché, in un caso del genere, hanno tutto il diritto di non obbedire a leggi che sono tali solo di nome.

Rispettate la libertà di tutti i cittadini, tenendo presente che il bene comune deve essere partecipato da tutti i membri della comunità. Date a tutti la possibilità di migliorare la propria vita, senza abbassare gli uni per innalzare gli altri. Offrite alle persone di più umile condizione delle prospettive aperte per il loro futuro: la sicurezza di un lavoro retribuito e protetto, l’accesso per tutti alla cultura, perché ciò, oltre ad essere giusto, illuminerà la loro esistenza, solleverà il loro spirito e li aiuterà a cercare Dio e a perseguire ideali più alti. Figli della mia anima, non dimenticate però che la più triste miseria è frutto della povertà spirituale, dell’ignoranza dottrinale e di non poter partecipare alla vita di Cristo.

53. Figlie e figli miei soprannumerari, penso adesso ai vostri focolari domestici, alle vostre famiglie nate dal sacramentum magnum[83] del matrimonio. In un’epoca in cui perdura l’opera di distruzione della famiglia di cui è colpevole il secolo scorso, siamo venuti a suscitare l’aspirazione alla santità nella cellula cristiana della società.

Il vostro primo apostolato è in casa vostra: la formazione che ricevete nell’Opus Dei vi aiuterà ad apprezzare la bellezza della famiglia, il valore soprannaturale della fondazione di un focolare domestico, la sorgente di santificazione racchiusa nei doveri coniugali.

Ciò nonostante, pur essendo consapevoli della grandezza della vostra vocazione matrimoniale – proprio così: vocazione! – nutrite una speciale venerazione e un profondo affetto per la castità perfetta, che sapete essere superiore al matrimonio[84] e, di conseguenza, siete molto contenti quando un vostro figlio, per grazia di Dio, intraprende un altro cammino che non è un sacrificio ma una elezione operata dalla bontà di Dio, un motivo di santo orgoglio, un grato servizio reso a tutti per amore di Cristo.

Voi sapete che di solito nelle scuole, comprese quelle dei religiosi, i giovani non ricevono la formazione necessaria per apprezzare la dignità e la bellezza del matrimonio. Spesso, negli esercizi spirituali predicati per gli alunni degli ultimi anni delle superiori, vengono offerti loro più elementi per considerare una possibile vocazione religiosa piuttosto che l’orientamento al matrimonio. C’è anche chi deprezza ai loro occhi la vita coniugale, che può sembrare ai giovani una realtà soltanto tollerata dalla Chiesa.

Nell’Opus Dei ci siamo sempre comportati diversamente: chiarendo bene che la castità perfetta è superiore allo stato matrimoniale, abbiamo indicato nel matrimonio un cammino divino sulla terra. Le cose non ci sono andate male, perché la verità è sempre liberatrice e i cuori giovani sono dotati di una grande generosità per innalzarsi al di sopra della carne quando li si lascia liberi di scegliere l’Amore.

L’amore umano, quello santo dei nostri genitori di cui si è valso il Signore per darci la vita, non ci spaventa. È un amore che benedico con tutte e due le mani. Voglio che tutti i miei figli nutrano un grande amore per il santo sacramento del matrimonio. Cantiamo senza timore le canzoni che parlano dell’amore umano puro, che sono anche strofe di amore umano volte al divino e, se abbiamo rinunciato all’amore terreno per l’Amore, non siamo scapoloni: abbiamo il cuore pieno di vitalità.

54. A voi, figlie e figli miei chiamati da Dio a formare una famiglia, a voi dico di volervi bene, di tener vivo l’amore appassionato di quando eravate fidanzati. Ha un povero concetto del matrimonio, che è un ideale e una vocazione, chi pensa che la felicità finisce quando iniziano le difficoltà e gli inconvenienti che la vita comporta.

È allora che l’amore si rafforza, diventa più forte della morte: fortis est ut mors dilectio[85]. La piena delle sofferenze e delle avversità non riuscirà a estinguere l’amore autentico: il sacrificio condiviso generosamente vi unisce ancora di più – aquae multae non potuerunt estinguere caritatem[86] – e le tante difficoltà, fisiche o morali, non potranno spegnere l’affetto.

Il vostro matrimonio normalmente sarà molto fecondo ma, se Dio non vi concedesse figli, dedicherete maggiori energie all’apostolato, che vi darà una meravigliosa fecondità spirituale.

Vi ho detto spesso che il Signore è solito allietare le famiglie cristiane con una corona di figli. Accoglieteli sempre con gioia e con gratitudine, perché sono un dono e una benedizione di Dio e una dimostrazione di fiducia.

55. La facoltà di generare è come una partecipazione del potere creatore di Dio, così come l’intelligenza è una scintilla dell’intelletto divino. Non occludete le sorgenti della vita. Nessuna paura!

Le teorie sulla presunta necessità di limitare le nascite, giustificata con false ragioni economiche, sociali o scientifiche, che non reggono al vaglio di un esame accurato, sono criminali, non sono né cristiane né umane. Sono una bassezza, figli miei, una viltà e uno sforzo di legittimare ciò che è inaccettabile.

Purtroppo tali idee nascono da sacerdoti e religiosi che si mettono a fare della casistica, intromettendosi imprudentemente dove nessuno li chiama, dimostrando a volte una curiosità morbosa e, tra l’altro, poco amore alla Chiesa, visto che il Signore ha istituito il sacramento del matrimonio per far crescere ed estendere il suo Corpo mistico.

Siate certi che la diminuzione dei figli nelle famiglie cristiane comporterebbe una diminuzione del numero delle vocazioni sacerdotali e delle anime disposte a dedicare tutta la vita al servizio di Cristo. Ho visto diverse coppie di sposi che, pur avendo ricevuto da Dio un solo figlio, hanno avuto la generosità di offrirglielo. Tuttavia sono poche. Nelle famiglie numerose è più facile comprendere la grandezza della vocazione divina e, tra i figli, ce n’è per tutti gli stati e i cammini.

56. Siate generosi e fate vostra la gioia e la forza delle famiglie numerose. Alle coppie che non vogliono aver figli dico, per svergognarle: se non volete avere figli, siate continenti! Penso e affermo sinceramente che non è cristiano raccomandare ai coniugi di astenersi nei periodi in cui la natura dà alla donna la capacità di procreare[87].

In qualche caso particolare, se sono d’accordo il medico e il sacerdote, si può e addirittura si deve consentire, ma non raccomandare come regola generale. Vi ho detto, con parole molto forti, che saremmo in molti ad andare a sputare sulla tomba dei nostri genitori se venissimo a sapere che siamo venuti al mondo senza che ci volessero, che non siamo il frutto del loro amore casto[88]. Nella maggior parte dei casi, grazie a Dio, dobbiamo ringraziare il Signore di essere nati in una famiglia cristiana alla quale dobbiamo in gran parte la nostra vocazione.

Ricordo che un mio figlio, che lavorava in un paese in cui erano molto diffuse le teorie sulla limitazione delle nascite, rispose scherzosamente a uno che lo interpellava su questo argomento: così, tra poco tempo, in questo mondo ci saranno solo neri e cattolici[89]. Purtroppo le minoranze cattoliche di alcune nazioni non lo capiscono, perché non approfondiscono la comprensione di una realtà di grande spessore teologico: il matrimonio cristiano è il mezzo predisposto dal Signore, nella sua provvidenza ordinaria, per far crescere il popolo di Dio.

I nemici di Dio, invece, sono più scaltri e sembrano avere più buon senso. Infatti, i paesi a regime comunista attribuiscono sempre maggiore importanza alle politiche sulla natalità, che considerano fattori determinanti dei loro programmi ideologici e sociali.

57. Nei vostri focolari, che ho definito sempre luminosi e lieti, i vostri figli saranno educati nelle virtù soprannaturali e umane in un clima di libertà e di sacrificio gioioso. Quante vocazioni giungeranno all’Opera da queste famiglie che ho chiamato scuole apostoliche dell’Opus Dei! Una delle ricorrenti maggiori gioie della mia vita è vedere un volto che mi ricorda il ragazzo che conobbi tanti anni fa. Tu – gli domando – come ti chiami? Sei figlio di Tizio? E mi rallegro, ringraziando Dio, quando mi risponde di sì.

Il segreto della felicità coniugale sta nelle cose di ogni giorno: scoprire la gioia racchiusa nel ritornare a casa, nell’educazione dei figli, nel lavoro a cui collaborano tutti e anche nel saper sfruttare tutti i progressi che ci offre la civiltà per rendere più accogliente la casa – senza alcuna aria di convento, che sarebbe fuori luogo –, più efficace la formazione, più semplice la vita.

58. Con la vostra amicizia aiuterete anche le poche famiglie di miei figli che non riescono a comprenderne il cammino di dedizione al servizio di Dio, a essere grate al Signore del dono inestimabile della chiamata a essere padri e madri dei figli di Dio nella sua Opera. Non avevano mai pensato che i loro figli potessero darsi a Dio e si erano fatti su di loro dei programmi ben distanti da quella dedizione che non immaginavano e che smonta i loro progetti, molto spesso lodevoli ma terreni. Ad ogni modo, la mia ormai non breve esperienza mi insegna che i genitori che non hanno accolto con gioia la vocazione dei figli finiscono per ricredersi, si avvicinano alla vita di pietà, alla Chiesa e finiscono per amare l’Opera.

Al di là di queste considerazioni, sono sempre più numerose, per grazia di Dio, le famiglie – i genitori, i fratelli e i parenti – che di fronte alla vocazione si comportano in modo soprannaturale e cristiano. Offrono il loro aiuto, chiedono di essere ammessi come soprannumerari o, per lo meno, sono grandi cooperatori.

Quando parlo con le madri o i padri dei miei figli sono solito dire: la vostra missione di genitori non è finita. Dovete aiutarli ad essere santi. Come? Essendo santi voi. Aiutandoli e aiutandomi a farli diventare santi, fate il vostro dovere di genitori. Lasciatevelo dire: voi genitori che avete persone così care al vostro cuore impegnate nel servizio della Chiesa, siete l’orgoglio e la corona dell’Opus Dei.

59. Sto per concludere, carissimi figlie e figli. Vi ho scritto con un po’ di audacia, come per ricordarvi quello che già sapete[90], anche se conosco bene il vostro impegno per essere fedeli alla chiamata del Signore.

Compite coraggiosamente la vostra missione, senza paura di compromettervi, di metterci la faccia poiché spesso gli uomini hanno paura di agire liberamente. Per qualsiasi cosa preferiscono seguire sempre le stesse formule, stabilite da altri: è un paradosso, ma gli uomini spessissimo rinunciano alla libertà e pretendono una norma da seguire per paura di correre dei rischi.

L’Opera vi prepara a essere coraggiosamente uomini e donne con iniziativa, risoluti, d’avanguardia, ciascuno nel suo campo. Dovete corrispondere alla formazione che ricevete con energia e con sforzo: se vi manca determinazione l’abbondanza di risorse spirituali sarebbe inutile. Ricordate la divisa che si incideva sui pugnali di un tempo: non ti fidar di me se il cuor ti manca.

Siate decisi, tenaci, ostinati, perché nessun no è definitivo. Siate molto comprensivi con tutti, perseguendo in special modo l’unità dei cattolici. Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri[91], diceva san Paolo. Noi cattolici, pertanto, dobbiamo conoscerci e amarci.

60. Date a tutti gli uomini esempio di austerità cristiana e di sacrificio. Il Signore ci ha detto: se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso[92]. Ci ha fatto sperimentare, figli miei, la fecondità di chi è calpestato, pigiato nel tino, come l’uva, per essere vino di Cristo!

Siate sempre sereni – né violenti, né aggressivi, né esaltati – di quella serenità che è frutto della pratica delle virtù cardinali. Ve la darà la viva consapevolezza della nostra filiazione divina, caratteristica del nostro spirito che nacque con l’Opera e prese forma nel 1931: in momenti umanamente difficili, in cui però avevo la certezza dell’impossibile, della realtà che oggi avete sotto gli occhi, sentii l’azione del Signore che faceva sgorgare dal mio cuore e dalle mie labbra, con la forza di un’imperiosa necessità, questa tenera invocazione: Abba, Pater! Ero per strada, in tram: la strada non ostacola il nostro dialogo contemplativo; il chiasso del mondo è per noi occasione di preghiera.

Probabilmente pregai ad alta voce e la gente mi prese per pazzo: Abba, Pater! Che fiducia, che pace, che ottimismo vi darà, in mezzo alle difficoltà, sentirvi figli di un Padre che tutto sa e tutto può.

Figli miei, vi esorto a progredire ancora di più e a fare tutto il possibile per vivere in pace, occuparvi delle vostre cose e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, e così condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e non avere bisogno di nessuno[93]. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori[94].

Con tutta l’anima vi benedice vostro Padre.

Roma, 9 gennaio 1959


[1] Cfr. Lc 12, 49.

[2] Cfr. Col 2, 14.

[3] 1 Cor 6, 20. Cfr. 1 Pt 1, 18-19.

[4] Rm 8, 31-32.38-39.

[5] Cfr. Gal 3, 28; Col 3, 11.

[6] Cfr. Lc 14, 15-24.

[7] Col 1, 24.

[8] Sal 145, 21.

[9] Cfr. Gv 18, 36.

[10] Cfr. Mt 13, 24-30.

[11] Cfr. Ap 21, 1-2.

[12] Ap 17, 14.

[13] 2 Ts 2, 3-4. Cfr. Ap 13, 1-17.

[14] Mc 10, 32.

[15] Cfr. Lc 12, 50.

[16] Mc 10, 39.

[17] Mc 10, 38.

[18] Gd 19.

[19] 1 Cor 2, 14.

[20] Ap 21, 6.

[21] Eb 13, 8.

[22] Is 10, 21-22.

[23] Is 24, 13.

[24] Rm 11, 5.

[25] Lc 12, 49; 1 Sam 3, 9.

[26] Mc 8, 2.

[27] Lc 4, 40.

[28] Cfr. Gn, 27, 27.

[29] Lo fece il Concilio di Trento (Sessione XXIV, 11 novembre 1563, Canones de Sacramento Matrimonii, n. 10), in Conciliorum oecumenicorum decreta. Curantibus Josepho ALBERIGO [et al.]; Consultante Huberto JEDIN, Bologna, Istituto per le scienze religiose, 1973, p. 755.

[30] Lc 23, 50-51.

[31] Mc 15, 43. Gv 19, 39.

[32] San Josemaría indicò l’influsso cristiano sugli intellettuali come uno dei fini specifici dell’Opus Dei, per la sua ripercussione sul resto della società (cfr. José Luis GONZÁLEZ GULLÓN – John COVERDALE, Historia del Opus Dei, Madrid, Rialp, 2021 p. 56, nota). Tuttavia fin dai primi anni della fondazione risuona l’affermazione «siamo per la moltitudine, non vivremo mai voltando le spalle alla massa» (Lettera di Josemaría Escrivá a Francisco Morán, Burgos 4 aprile 1938, in Camino, edizione critico-storica a cura di Pedro Rodríguez, 3a ed., Madrid, Rialp, 2004, p. 250; cfr. commento al n. 914, che trae ispirazione da un appunto del 12 ottobre 1931, nel quale compare già il tema della “moltitudine”). Nei documenti più antichi che si conservano si rileva il suo desiderio di raggiungere operai, commessi, artigiani, infermiere, persone di qualsiasi professione e condizione sociale, tra le quali ne troverà alcune disposte a entrare nell’Opus Dei. Per esempio, in Appunti intimi, n. 373 (ottobre 1931), si può leggere: «Con l’aiuto di Dio e l’approvazione del padre confessore, cercherò di radunare presto un gruppetto di operai selezionati», cit. in CANO, Los primeros supernumerarios, p. 379.

[33] 1 Cor 7, 20-24.

[34] L’Autore vuole segnalare che l’apostolato dei laici dell’Opus Dei nel mondo è la «loro missione ecclesiale» che svolgono mediante la «vocazione professionale e secolare», come dirà nel paragrafo successivo. Tale apostolato, pertanto, non usurpa quello al quale i religiosi si dedicano nel mondo con abnegazione e non può essere considerato migliore o superiore: è semplicemente diverso, perché non trae origine da una vocazione alla vita consacrata ma dal Battesimo, mediante il quale Dio chiama tutti a essere discepoli missionari di Cristo.

[35] In realtà, dal punto di vista sociologico e apostolico, le differenze rispetto ai movimenti sono di poca entità. Per san Josemaría, la diversità si fonda sull’universalità sia del fenomeno pastorale e comunionale rappresentato dall’Opus Dei, sia della sua gerarchia interna. Tuttavia, questa distinzione non equivale a una presa di distanza dai modelli di rinnovamento ecclesiale che sono stati introdotti da parecchi degli attuali movimenti, con i quali l’Opus Dei condivide il medesimo anelito di santità, di impegno nell’evangelizzazione e nel servizio alla Chiesa, e mantiene legami di comunione e di fraternità.

[36] Ef 5, 7-9.

[37] Gv 11, 39.

[38] Fil 4, 8.

[39] Col 3, 17.

[40] Gal 5, 24.

[41] Fil 3, 18.

[42] 42. Cfr. Gv 12, 24.

[43] Fil 3, 19-21.

[44] Cfr. Sal 20, 8.

[45] Mt 24, 28.

[46] Fil 4, 22.

[47] Cfr. Fm 8-12; Ef 6, 5 e sgg.; Col 3, 22-25; 1 Tm 6, 1-2; 1 Pt 2, 18 e sgg.

[48] Hesterni sumus et vestra omnia implevimus, urbes, insulas, castella, municipia, conciliabula, castra ipsa, tribus, decurias, palatium, senatum, forum: sola vobis reliquimus templa (Tertullianus, Apologeticum, 37).

[49] Rm 14, 19.

[50] Rm 12, 17-18.

[51] Lc 16, 8.

[52] Rm 13, 11.

[53] Mt 10, 34.

[54] 1 Pt 3, 15.

[55] 2 Cor 5, 14.

[56] Rm 12, 11.

[57] Cfr. Ef 5, 15-16.

[58] Gal 6, 10.

[59] Sal 2, 8.

[60] 1 Ts 5, 14.

[61] 2 Ts 3, 11.

[62] 2 Ts 3, 12.

[63] Gdt 8, 9-13.

[64] At 5, 12.

[65] Cfr. Mt 22, 21.

[66] Gv 8, 32.

[67] L’autore cita il proverbio spagnolo «del enemigo el consejo».

[68] Per san Josemaría l’apostolato è cosa dei singoli e non dell’istituzione, che si limita a orientare e ad assistere pastoralmente le persone che appartengono o si avvicinano all’Opus Dei. Il suo pensiero è che l’agire apostolico è sempre responsabilità e frutto dell’iniziativa dei membri, cooperatori e amici, che godono dell’orientamento e dell’aiuto spirituale dell’Opera.

[69] La missione di discepoli di Cristo nel mondo scaturisce dalla coscienza battesimale e si dispiega nei rapporti personali che ognuno coltiva. Pertanto, esprimendosi per paradosso, afferma che un apostolato profondamente cristiano come quello che descrive può non avere carattere ufficialmente cattolico o “confessionale”, perché ha origine nell’intimo della vita di fede e si sviluppa nell’esercizio della professione o attività secolare.

[70] Cfr. Mt 22, 15-22; Mc 12, 13-17; Lc 20, 20-26; Rm 13, 1-7.

[71] At 16, 37. L’autore intende per loro i littori e li inserisce tra parentesi come soggetto ma in realtà Paolo si riferisce ai magistrati cittadini.

[72] At 22, 25-28; cfr. ibid. 25, 11.

[73] 2 Pt 1, 10.

[74] San Josemaría usa spesso l’espressione «dare dottrina» nel senso di esporre la verità cristiana, il deposito della fede, nei più diversi contesti e modalità, ossia diffondere il messaggio evangelico mediante il proprio agire personale e professionale. Non fa necessariamente riferimento a un’attività catechetica, poiché include anche il primo annuncio rivolto a coloro che non credono in Cristo.

[75] Rm 10, 14.

[76] 2 Tm 4, 2.

[77] Gv 18, 37.

[78] Ef 4, 25.

[79] Col 4, 5-6.

[80] Nam piscatorem Petrum, Matthaeum vero telonearium scimus; et post conversionem suam ad piscationem Petrus rediit, Matthaeus vero ad telonei negotium non resedit: quia aliud est victum per piscationem quaerere, aliud autem telonei lucris pecunias augere. Sunt enim pleraque negotia, quae sine peccato exhiberi aut vix, aut nullatenus possunt. Quae ergo ad peccatum implicant, ad haec necesse est ut post conversionem animus non recurrat (S. Gregorius Magnus, In Ev. hom., XXIV).

[81] La British and Foreign Bible Society (BFBS) fu fondata nel 1804 in ambito protestante e opera a livello mondiale per rendere accessibile la Bibbia. Le Società Bibliche nazionali si riuniscono nell’Alleanza Biblica Universale (ABU) – United Bible Society (UBS), un’organizzazione internazionale fondata nel 1946, che riunisce e coordina il lavoro di circa 150 Società Bibliche. Dal 1968 è stata avviata una cooperazione con la Chiesa Cattolica. L’Esercito della Salvezza (The Salvation Army) è una denominazione cristiana protestante e un’organizzazione benefica fondata nel 1865.

[82] Ciò che propone san Josemaría è di lavorare in questo settore seguendo la propria vocazione professionale, a meno che la gerarchia cattolica non dia altre indicazioni, come avvenne in Italia tra il 1868 e il 1919 con il non expedit (non conviene) che proibiva ai cattolici la partecipazione attiva e passiva alle elezioni politiche, ma non alle amministrative, in seguito alla promulgazione di leggi anticattoliche nel Regno d’Italia. L’Opus Dei fu accusato di “collaborazionismo” con il regime franchista a causa dell’ingresso nel governo spagnolo di due dei suoi membri nel 1957 e di altri in anni successivi. D’altra parte la gerarchia cattolica spagnola non sconsigliò ma, piuttosto, appoggiò la collaborazione dei cattolici con il regime, nella misura in cui, sebbene non garantisse le libertà politiche, sembrava assicurare la presenza del messaggio evangelico nella vita pubblica. Pertanto, san Josemaría rispettò la scelta dei membri dell’Opus Dei che appoggiavano Franco, come pure quella delle persone dell’Opera che si opponevano al dittatore. Curiosamente, entrambe le opzioni finirono per danneggiare in qualche modo l’immagine dell’Opus Dei ma il Fondatore non modificò il suo criterio e continuò a difendere la completa libertà dei membri in politica. Cfr. GONZÁLEZ GULLÓN – COVERDALE, Historia del Opus Dei, pp. 221-225 e 227-234.

[83] Cfr. Ef 5, 32.

[84] Cfr. Mt 19, 11 e sgg.; 1 Cor 7, 25-40. Si quis dixerit statum coniugalem anteponendum esse statui virginitatis vel coelibatus, et non esse melius ac beatius, manere in virginitate aut coelibatu, quam iungi matrimonio: A. S. (Conc. Trid., sess. XXIV, can. 10).

[85] Ct 8, 6.

[86] Ct 8, 7.

[87] San Josemaría sta proponendo un ideale molto alto di vocazione matrimoniale, una chiamata alla santità eroica, nel momento in cui si stava diffondendo nella società occidentale degli anni Sessanta un clima sempre più permissivo. È evidentemente preoccupato che la continenza periodica non venga considerata un metodo anticoncezionale “cattolico” generalizzabile, svincolato dagli aspetti medici, umani e spirituali che tale opzione propone alla considerazione della singola persona. Poco oltre, invece, dice che in casi specifici «si può e addirittura si deve consentire», raccomandando di consigliarsi con il medico e con il sacerdote.

Desidera aiutare chi cerca di vivere cristianamente e santamente il proprio matrimonio ma ha bisogno di distanziare le nascite. In linea generale, le sue parole seguono l’orientamento pastorale e la prassi morale cattolica vigente tra il 1959 e il 1966, quando fu datata e poi pubblicata la lettera. Si vedano, ad esempio, il Dizionario di Teologia morale, diretto da Francesco ROBERTI, Roma, Studium, 1957, p. 348 e la Teología moral para seglares, di Antonio ROYO MARÍN, vol. II, Madrid, BAC, 1961, pp. 670-672 (entrambi i libri sono presenti nella biblioteca personale di san Josemaría). Tale dottrina fu precisata e perfezionata poco dopo dall’enciclica Humanae vitae (1968) di san Paolo VI. La Humanae vitae accenna ai «seri motivi» che devono esistere per distanziare le nascite ricorrendo ai periodi infecondi (cfr. n. 16). Al tempo stesso, spiega che questa opzione non può prescindere dalla “paternità responsabile” e dalla virtù della castità. Nel momento in cui uscì la Lettera di san Josemaría, si svolgeva un dibattito teologico sulla questione e lo stesso Magistero stava ancora precisando la sua posizione, nella linea già indicata dalla Gaudium et spes (nn. 50- 51) del Concilio Vaticano II. L’attuale Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2369- 2370, riporta la formulazione della Humanae vitae, arricchita dal magistero di san Giovanni Paolo II. Cfr. Martin M. LINTNER, Cinquant’anni di Humanae vitae. Fine di un conflitto, riscoperta di un messaggio, Brescia, Queriniana, 2018; Gilfredo MARENGO, La nascita di un’enciclica. Humanae vitae alla luce degli Archivi Vaticani, Libreria Editrice Vaticana, 2018, pp. 284.

[88] Ricordiamo che san Josemaría stava scrivendo per persone che conoscevano bene il suo modo di parlare, franco e diretto. E anche che nella predicazione e nei suoi scritti usava con una certa frequenza l’iperbole per far risaltare un insegnamento, come quando diceva di credere più ai suoi figli che a cento notai unanimi (cfr. In dialogo con il Signore, op. cit., 15, 1b), o che preferiva «mordersi la lingua e sputarla lontano piuttosto che parlare dei difetti o delle mancanze altrui» (cit. in Javier ECHEVARRÍA, omelia, 26-VI-2006, in «Romana» 42 [2006], pp. 81-85), e tanti altri esempi assai espressivi. Naturalmente, non pretendeva che si prendessero alla lettera le sue espressioni iperboliche. Chi è a conoscenza dell’amore del santo per i suoi genitori, della sua capacità di perdonare e della comprensione dell’umana debolezza, evidente nei suoi scritti a cominciare da questa Lettera, non crederebbe mai che avrebbe fatto ciò che scrive in questo punto. Tuttavia, vuole usare «parole molto forti» per sensibilizzare i suoi lettori al dramma di coloro che scoprono di essere figli indesiderati. È un grave problema, esistenziale e psicologico, che colpisce in modo particolare la società in cui viviamo, dopo l’enorme diffusione dei metodi anticoncezionali e delle pratiche abortive, a partire dalla cosiddetta rivoluzione sessuale, già alle porte quando san Josemaría scriveva queste parole. Desidera chiarire che il modello di santità che propone per le persone unite in matrimonio comprende un «amore casto» tra i coniugi e un grande amore per i figli, che porta a ricevere senza paura tutti quelli che Dio vorrà inviare, a meno di gravi motivi.

[89] La frase deve essere intesa nel contesto storico della battaglia per i diritti civili combattuta negli Stati Uniti negli anni ’50 e ’60, gli stessi della redazione di questa Lettera. Coincisero con la diffusione nel Nord America della contraccezione, che per gli attivisti afroamericani nascondeva un intento razzista (cfr. Simone M. CARON, Birth Control and the Black Community in the 1960s: Genocide or Power Politics? «Journal of Social History» 31, n. 3 [1998], pp. 549-569). Anche i cattolici vi si opposero, sebbene per ragioni morali. La frase ironica citata dall’autore intende burlarsi dei pregiudizi razzisti e antipapisti che allignavano in alcuni settori del paese, i quali deploravano i tassi di natalità più elevati della popolazione afroamericana e cattolica Cfr. Stephen L. BARRY, The Forgotten Hatred: Anti-Catholicism in Modern America, «NYLS Journal of Human Rights» 4, Issue 1 [1986], pp. 203-238). A metà degli anni Sessanta, in America era normale riferirsi agli afroamericani come “negro” (“negroes” al plurale). Martin Luther King jr., Malcom X e altri attivisti antirazzisti lo impiegavano correntemente, come la generalità dei parlanti. Si può anche ricordare il noto libro di Robert PENN WARREN, Who Speaks for the Negro? New York, Random House, 1965, contemporaneo alla Lettera, che raccoglie una serie di interviste ai principali leader del movimento per i diritti civili.
Nel 1972 un afroamericano domandò a san Josemaría come migliorare nell’apostolato con le persone del suo gruppo etnico (nella trascrizione si legge che il ragazzo disse “apostolado con los negros”, termine che anche in spagnolo non aveva all’epoca alcuna connotazione peggiorativa). Il santo rispose: «Senti, figlio mio, davanti a Dio non ci sono né negri né bianchi: siamo tutti uguali, tutti uguali! Ti voglio bene con tutto il cuore, come voglio bene a lui, a quello là e a tutti. Bisogna superare la barriera delle razze, perché non c’è alcuna barriera! Siamo tutti dello stesso colore: il colore dei figli di Dio» (note di una riunione, 3 aprile 1972, in Crónica, 1972, vol. 5, pp. 106-107).

[90] Rm 15, 15.

[91] Gal 5, 15.

[92] Mt 16, 24.

[93] 1Ts 4, 10-12.

[94] Col 3,15.