Meditazioni: Mercoledì della 23ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel mercoledì della ventitreesima settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Fidarsi della felicità che viene da Dio; La promessa della gioia pervade il Vangelo; Le pene e le gioie di un cristiano.

- Fidarsi della felicità che viene da Dio

- La promessa della gioia pervade il Vangelo

- Le pene e le gioie di un cristiano


«Nelle beatitudini Cristo ci porge le chiavi che ci aprono le porte del cielo... e della felicità su questa terra»1. Eppure il nostro cuore fa fatica a credere che troverà la felicità nella povertà, nella fame, nel pianto o nella persecuzione. Il Signore insiste nell’impiegare due verbi molto espressivi per indicare la meta di questo tragitto: «rallegratevi» ed «esultate» (Lc 6, 23).

Queste apparenti contraddizioni ci invitano «a riflettere sul senso profondo dell’avere fede, che consiste nel fidarci totalmente del Signore. Si tratta di abbattere gli idoli mondani per aprire il cuore al Dio vivo e vero; Egli solo può dare alla nostra esistenza quella pienezza tanto desiderata eppure difficile da raggiungere. Sono molti, infatti, anche ai nostri giorni, quelli che si propongono come dispensatori di felicità [...]. E qui è facile scivolare, senza accorgersene, nel peccato contro il primo comandamento: cioè l’idolatria, sostituire Dio con un idolo. Idolatria e idoli sembrano cose di altri tempi, ma in realtà sono di tutti i tempi!»2.

«Dio vuole aprirci – scrive il prelato dell’Opus Dei – un panorama di grandezza e di bellezza, che forse è nascosto ai nostri occhi. È necessario confidare in Lui e fare un passo verso l’incontro con Lui, togliendo di mezzo la paura di pensare che, se lo facciamo, perderemo molte cose buone della vita. La capacità che ha di sorprenderci è molto più grande di qualunque nostra aspettativa»3. Questo non vuol dire che la vita cristiana consista nell’accumulare sofferenze sulla terra per poter poi godere del cielo; Gesù ci vuole felici anche qui, ma non vuole che la nostra felicità dipenda da cose effimere, da cose che rapidamente passano, ma da cose realmente autentiche, dall’unica cosa capace di saziare la nostra sete di infinito.


Se ricordiamo l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Maria, «possiamo dire che la prima parola del Nuovo Testamento è un invito alla gioia: “gioisci”, “rallegrati”. Il Nuovo Testamento è veramente "Vangelo", “buona notizia” che ci porta gioia. Dio non è lontano da noi, sconosciuto, enigmatico, forse pericoloso. Dio è vicino a noi»4. Questa irruzione di una nuova gioia nel mondo percorre tutto il Vangelo e trova un punto rivelatore nelle Beatitudini. Gesù è colui che meglio comprende la novità di quello che sta dicendo. Perciò, se cerchiamo di ricordare i momenti che ci hanno reso felici veramente, forse scopriremo che non sempre sono fondati sulla ricchezza, sul piacere o sulla comodità.

«La gioia non è l’ebbrezza di un momento: è un’altra cosa! La vera gioia non viene dalle cose, dall’avere, no! Nasce dall’incontro, dalla relazione con gli altri, nasce dal sentirsi accettati, compresi, amati e dall’accettare, dal comprendere e dall’amare»5. È naturale che certe volte identifichiamo quella gioia che ci promette Gesù come qualcosa che succederà nel futuro. Tuttavia le sue parole sono efficaci anche nell’oggi della nostra vita quotidiana. Chi si fida di Dio è più preparato a lasciarsi amare. Chi si fida di Dio è più disposto a pensare che le contrarietà siano un continuo ricordo e che la vera felicità la troviamo solo in Dio.

Come figli di Dio, creati a sua immagine, non aspiriamo a una felicità finita, ma a partecipare della stessa felicità del nostro Padre del cielo. Gesù ci ha promesso che il suo unico interesse è che la sua gioia sia in noi affinché la nostra gioia sia piena (cfr. Gv 15, 11). Perciò il primo che è impegnato nella nostra felicità personale è Dio stesso, e questo ci riempie di consolazione.


Qual è il principale ostacolo alla nostra gioia? Con la fede possiamo affermare che l’unico male che ci può arrecare tristezza è il peccato. Le altre disgrazie lo sono nella misura in cui ancora non giudichiamo le cose dal punto di vista di Dio. «Il Signore ci vuole felici – diceva san Josemaría –. Io vedo i miei figli sempre allegri, con una allegria soprannaturale, con qualcosa di così intimo che è compatibile con i dolori e con le contraddizioni di questa nostra vita sulla terra»6. E san Giovanni Crisostomo è dello stesso parere: «Sulla terra persino la gioia spesso finisce in tristezza; ma per chi vive secondo Cristo, anche le pene sono fonte di gioia»7.

Forse qualche volta potremmo pensare che, data la nostra mancanza di corrispondenza, meritiamo un po’ di tristezza. Comunque questa considerazione conferma che possiamo essere felici solo se abbiamo compiuto alla perfezione tutto quello che avevamo deciso di fare. Mentre stiamo cercando di identificarci con Cristo, la gioia alla quale ci chiama il Signore «non poggia sulle nostre virtù: non è vana soddisfazione personale, ma si identifica sulla fragilità e sulla debolezza umana stesse. Conoscere la propria debolezza, sperimentare la presenza dell’avversità in noi stessi, può e deve aprire le porte alla gioia»8. Come ripeteva il fondatore dell’Opus Dei, «Siatene sicuri: Dio non ama le nostre miserie, ma non le rifiuta, e conta proprio su di esse per farci santi»9.

La vera gioia si può trovare soltanto nell’amore infinito e immeritato che Dio ci offre. E nostra madre Maria accolse incondizionatamente nel suo seno il Signore. Ecco perché è capace di affermare, piena di umiltà, che «tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1, 48). A lei possiamo chiedere che ci faccia sentire e godere questa stessa gioia.


1 Mons. Fernando Ocáriz, Alla luce del Vangelo, p. 60.

2 Papa Francesco, Angelus, 17-II-2019.

3 Mons. Fernando Ocáriz, articolo sull’Avvenire, 26-I-2019.

4 Benedetto XVI, Omelia, 18-XII-2005.

5 Papa Francesco, Discorso, 6-VII-2013.

6 San Josemaría, Omelia, 26-V-1974.

7 San Giovanni Crisostomo, Omelie su san Matteo, n. 18.

8 Mons. Fernando Ocáriz, Alla luce del Vangelo, p. 149.

9 San Josemaría, Amici di Dio, n. 215.