Meditazioni: Mercoledì della 25ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel mercoledì della venticinquesima settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Scelti per essere inviati; L’essenziale e l’accessorio; L’esperienza del fallimento.

- Scelti per essere inviati

- L’essenziale e l’accessorio

- L’esperienza del fallimento


Gesù convocò i Dodici e li mandò a predicare il Regno di Dio e a guarire i malati, dando loro forza e potere su tutti i demoni e di guarire le malattie (cfr. Lc 9, 1-2). Queste brevi frasi e i consigli che il Signore darà sul modo con cui dovranno portare a termine la loro missione ci rivelano alcune caratteristiche dell’apostolato cristiano.

La prima è la priorità della vocazione personale. Gli apostoli sono scelti a uno a uno per la missione che dovranno svolgere. La loro scelta è parte del mistero divino, dato che non si giustifica con criteri umani come la capacità o l’efficacia. La maggioranza di loro era formata da pescatori senza una grande cultura; l’unico che, forse, aveva maggiori mezzi umani e una migliore istruzione era Matteo, ma l’essere un pubblicano lo faceva considerare da molti un traditore. In più, frequentemente gli apostoli non brillavano certo per eroismo morale: come possiamo vedere nei vangeli, sono ambiziosi, competono tra di loro e si paragonano continuamente, hanno una forte visione umana e fanno fatica a ragionare in termini soprannaturali. L’esperienza degli apostoli ci ricorda che «tutto dipende da una chiamata gratuita di Dio; Dio ci sceglie anche per servizi che a volte sembrano sovrastare le nostre capacità o non corrispondere alle nostre aspettative; alla chiamata ricevuta come dono gratuito bisogna rispondere gratuitamente»[1].

I dodici partiranno per predicare il Regno di Dio non perché fossero sapienti o santi, ma perché sanno di essere chiamati da Cristo e perché accettano liberamente di essere inviati da Lui. È questa la convinzione che, sin dai primi secoli ad oggi, ha spinto la Chiesa a diffondere il Vangelo nel mondo intero: i cristiani sapevano di essere quelli che continuavano la missione di Cristo, scelti e inviati per portare la salvezza a tutti gli uomini. Per questo, l’apostolato è qualcosa di radicato nella stessa identità del cristiano: per il battesimo la nostra vita ha un significato missionario. Non facciamo apostolato come chi compie un incarico aggiunto alla nostra condizione di cristiani, ma perché la nostra più profonda identità consiste nel fatto che «siamo apostoli»[2]: come i primi dodici, siamo stati scelti per essere inviati.


Dopo aver detto ai dodici quale sarebbe stata la loro missione, il Signore dà loro alcuni consigli sul modo di compierla: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche» (Lc 9, 3). Gesù, a quelli che invia alla missione apostolica, chiede una povertà tanto radicale come significativa: la rinuncia a una serie di cose in sé buone, ma non per loro e in quel momento, perché potrebbero rallentare o impedire la missione ricevuta. È questo che caratterizza la povertà: una virtù che ci permette di impegnare la nostra mente e il nostro cuore in ciò che ha veramente valore e importanza, senza distrarci con ciò che è apparenza, vano o accessorio.

Per l’apostolato, quello che conta veramente è la centralità di Dio: il Signore ci invia e lui agisce nelle persone. Noi siamo strumenti. Certo, anche il nostro impegno è importante, ma non è il più importante né decisivo. Diversamente da uno strumento materiale non siamo inerti e passivi, ma mettiamo in gioco liberamente tutte le qualità e capacità che abbiamo, così come i mezzi umani che possediamo, e il Signore si aspetta che noi facciamo proprio così. Ma quello che Gesù sottolinea con forza nel Vangelo è che tutto questo, ciò che abbiamo, fossero mezzi umani o qualità umane, sono qualcosa di secondario di fronte a ciò che siamo: siamo chiamati da lui e inviati alle anime.

Questa è la convinzione che riempie il cuore degli apostoli, come ricordava ai suoi figli san Josemaría nei primi anni dell’Opus Dei: «Non dimenticate, figli miei, che non siamo anime che si uniscono ad altre anime per fare una cosa buona. Questo è molto...ma è poco. Siamo apostoli che compiamo un mandato imperativo di Cristo»[3]. Proprio perché pone la propria fiducia in Dio, in quanto eletto e inviato, l’apostolo può compiere questo mandato divino con libertà personale, con generosità e con gioia, disposto a qualunque sacrificio e muovendosi con speranza e audacia.


«In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro» (Lc 9, 4-5). Così il Signore conclude i suoi consigli per la missione apostolica. Gesù fa vedere che il testimone apostolico, a volte, sarà ben accolto e, altre volte, non lo sarà. In quest’ultimo caso raccomanda ai dodici di scuotere la polvere dai loro piedi: era un gesto simbolico nella cultura semitica per mostrare di non voler conservare nulla, neppure un poco di terra, del luogo dove lo avevano respinto. Nel nostro caso, ci aiuta a ricordare che non dobbiamo consentire che i fallimenti o il rifiuto che sperimenteremo nell’apostolato restino come un peso nel nostro cuore, spegnendo a poco a poco l’entusiasmo soprannaturale che ci muove.

«Non ti capiscono? – scriveva san Josemaría – Egli era la Verità e la Luce, ma nemmeno i suoi l’hanno compreso. — Come tante volte ti ho fatto considerare, ricordati delle parole del Signore: “Un discepolo non è da più del Maestro”»[4]. Gesù è molto realista nella sua descrizione della missione apostolica. Non nasconde che esige rinunce, per non perdere di vista il raggiungimento di ciò che veramente conta, e che non sempre sarà coronata dal successo: ai suoi apostoli non mancheranno difficoltà, tribolazioni e anche persecuzioni (cfr. Lc 28, 12-19); non passeranno la loro vita assommando una vittoria a un altra, e per questo non devono basare la loro gioia sui risultati immediati, ma sulla fecondità soprannaturale del loro impegno. Riceveranno il cento per uno e la vita eterna (Mt 19, 29) perché, dalla loro testimonianza di vita cristiana, dalla loro fedeltà senza riserve alla missione apostolica, il Signore farà nascere una gran quantità di frutti soprannaturali, un’abbondanza che in molti casi sarà incommensurabile per le stime semplicemente umane.

Possiamo chiedere alla Vergine Maria di ravvivare nei nostri cuori un senso della missione che ci faccia essere e ci faccia comportare come i primi dodici, sentendoci inviati dal Signore e confidando che egli farà fruttificare il nostro zelo apostolico: «Tu e io, figli di Dio, quando vediamo le persone, dobbiamo pensare alle anime: qui c’è un’anima, dobbiamo dirci, che devo aiutare; un’anima che devo capire; un’anima con la quale devo vivere insieme; un’anima che devo salvare»[5].


[1] Francesco, Udienza, 15-III-2023.

[2] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 14-II-2017, n. 9.

[3] San Josemaría, Istruzione 19-III-1934, n. 27.

[4] San Josemaría, Solco, n. 239.

[5] San Josemaría, Meditazione del 25-II-1963, in Crónica 1964, IX, p. 69 (AGP, biblioteca, P01).