Meditazioni: Martedì della 9ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel martedì della nona settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Una domanda senza un’apparente via d’uscita; A Cesare quello che è di Cesare; A Dio quello che è di Dio.

- Una domanda senza un’apparente via d’uscita

- A Cesare quello che è di Cesare

- A Dio quello che è di Dio


Una domanda senza un’apparente via d’uscita

I capi del popolo di Israele cercano la alcuni giorni di scoprire qualche incoerenza nelle parole di Gesù. Questa volta gli pongono una domanda che secondo loro richiederebbe una precisa presa di posizione: «È lecito o no pagare il tributo a Cesare?» (Mc 12, 14). Vale la pena ricordare che per il popolo ebreo non era per nulla comodo far parte dell’impero romano; e non solo per ragioni politiche, ma anche religiose perché il culto che concedeva all’imperatore era un affronto al Dio di Israele. Perciò mettono il Signore davanti a una questione che apparentemente non ha scappatoie: se afferma che è lecito, sarebbe considerato un traditore da quelli del suo stesso popolo; se dichiara che non lo è, allora potrebbe essere accusato di ribellione davanti alle autorità romane.

Con la sua risposta Gesù si colloca al di sopra della polemica: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio» (Mc 12, 17). Per un verso ricorda gli obblighi di ogni cittadino nei confronti dello Stato: ammette che si deve pagare il tributo in quanto l’immagine presente nella moneta è quella del Cesare. Però indica la responsabilità di ogni uomo davanti a Dio, perché nel nostro cuore e nella nostra anima è impressa l’immagine divina. Il dilemma che vogliono porre i capi di Israele, dunque, è solo apparente.

San Josemaría, in questo senso, ricordava spesso che «non vi è – non può esserci – contrapposizione tra il servizio a Dio e il servizio agli uomini; fra l’esercizio dei nostri diritti e doveri civili, e quelli religiosi; tra l’impegno per costruire e migliorare la città terrena e la convinzione che camminiamo in questo mondo diretti alla patria celeste»[1]. In realtà succede proprio il contrario: i due ambiti, quando sono vissuti in maniera ordinata, si alimentano reciprocamente. Dare gloria a Dio ci porterà ad aver cura del mondo che è uscito dalle sue mani e che ci ha dato in eredità; nello stesso tempo, quando lavoriamo per un mondo più giusto, gomito a gomito con gli altri cittadini, è lì che possiamo unirci al lavoro di Dio.


A Cesare quello che è di Cesare

«Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare». San Josemaría ripeteva spesso che noi cristiani lavoriamo in questo mondo con i piedi sulla terra e la testa nel cielo. In questo senso, faceva osservare ai suoi figli che «qualsiasi specie di evasione dalle realtà oneste di tutti i giorni significa per voi uomini e donne del mondo, il contrario della volontà di Dio»[2]. Nei doveri e negli obblighi verso la società il cristiano trova il suo cammino di santità; siamo chiamati a contribuire con il nostro lavoro a far sì che il mondo sia un luogo migliore, a vivificare con la luce di Cristo tutti gli ambienti e le professioni della terra.

«Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3, 22-23), spiegava san Paolo. «Davanti a questa realtà – ha scritto il prelato dell’Opus Dei –, ci rallegriamo delle gioie degli altri, godiamo di tutte le cose buone che ci circondano e ci sentiamo ingaggiati dalle sfide dei giorni nostri»[3]. Molte persone, a causa delle situazioni di guerra o di povertà esistenti in diversi luoghi, attraversano momenti di sofferenza e di grandi necessità. Le parole di san Paolo sono un invito a fare nostri i problemi del mondo, cominciando da quelli che abbiamo più a portata di mano: una situazione familiare dolorosa, un conflitto di lavoro, la fatica che richiede stimolare gli altri a insistere in un progetto che si è arenato, o tante altre situazioni che fanno parte delle nostre prospettive immediate.

Tutti possiamo contribuire a rendere meno gravi i problemi del nostro tempo e dell’ambiente in cui viviamo. Per la comunione dei santi sappiamo che possiamo aiutarci a vicenda attraverso la preghiera e i sacramenti. Inoltre, con i nostri talenti personali possiamo passare all’azione e migliorare, nella misura delle nostre possibilità, la vita delle persone bisognose che ci passano accanto. «Nel mezzo di crisi e tempeste, il Signore ci interpella e ci invita a risvegliare e attivare questa solidarietà capace di dare solidità, sostegno e un senso a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Possa la creatività dello Spirito Santo incoraggiarci a generare nuove forme di familiare ospitalità, di feconda fraternità e di universale solidarietà»[4].


A Dio quello che è di Dio

«Quello che è di Dio, a Dio». Dopo aver ricordato la liceità di pagare il tributo a Cesare, Gesù ribadisce una realtà molto più profonda: siamo di Dio. Le relazioni che intavoliamo in una società sono importanti, fanno parte della nostra personalità e delle gioie e aneliti della vita; però il Signore ricorda, se vogliamo andare più in profondità, che siamo stati creati a immagine divina. «Se sulle monete romane era impressa l’effige di Cesare e per questo a lui esse andavano rese, nel cuore dell’uomo c’è però l’impronta del Creatore, unico Signore della nostra vita. L’autentica laicità non è, pertanto, prescindere dalla dimensione spirituale, ma riconoscere che proprio questa, radicalmente, è garante della nostra libertà e dell’autonomia delle realtà terrene, grazie ai dettami della Sapienza creatrice che la coscienza umana sa accogliere ed attuare»[5].

È Dio che ci ha donato tutto ciò che siamo. Perciò possiamo vivere la nostra quotidianità «nel ri-conoscimento di questa nostra appartenenza fondamentale e nella ri-conoscenza del cuore verso il nostro Padre, che crea ognuno di noi singolarmente, irripetibile, ma sempre secondo l’immagine del suo Figlio amato»[6]. Sapere che noi tutti dipendiamo da Dio non ci rende meno umani, né indebolisce le nostre relazioni; ci svela, piuttosto, un’altra realtà: sapendo che siamo figli amatissimi del Creatore scopriamo la nostra più eccelsa dignità, e questo ci permette di comprenderci come fratelli. Inoltre, noi cristiani, quando ci dedichiamo alle realtà terrene, stiamo restituendo a Dio ciò che gli appartiene: così possiamo guardare sempre con speranza al futuro e rispondere con slancio alle sfide del nostro tempo. Possiamo chiedere alla Vergine Maria che, con l’aiuto di Dio, facciamo del mondo un luogo migliore, così come ella fece nella sua casa a Nazaret.


[1] San Josemaría, Amici di Dio, n. 165.

[2] San Josemaría, Amare il mondo appassionatamente, n. 114.

[3] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 19-III-2022, n. 7.

[4] Papa Francesco, Udienza, 2-IX-2020.

[5] Benedetto XVI, Udienza, 17-IX-2008.

[6] Papa Francesco, Angelus, 22-X-2017.