Meditazioni: Lunedì della 4ª settimana di Quaresima

Riflessioni per meditare nel lunedì della quarta settimana di Quaresima. I temi proposti sono: Dio si entusiasma per noi; Abbandonarsi come figli; Fede è lasciare spazio a Dio.

- Dio si entusiasma per noi

- Abbandonarsi come figli

- Fede è lasciare spazio a Dio


Ieri abbiamo celebrato la domenica laetare, che è come un richiamo per ricordarci che la Quaresima è un tempo di penitenza che prepara alla grande gioia della Pasqua. Nel libro del profeta Isaia ascoltiamo Dio che ci dice: «Ecco, infatti, io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, sto per creare Gerusalemme per la gioia, e il suo popolo per il gaudio. Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo» (Is 65, 17-19). Il Creatore, che aveva predisposto il mondo per gli uomini, sognava già la vita dei suoi figli.

Tuttavia, sappiamo che dopo c’è stato il peccato e la distruzione dell’armonia del principio. Ma Dio non si è stancato di perdonare né di aver fiducia negli uomini. Ciascuno di noi siamo, in qualche modo, un sogno di Dio, un progetto di bene e di felicità. «Dio pensa a ognuno di noi, ci vuole bene, sogna di noi, sogna della gioia di cui godrà con noi». Ed è proprio «per questo il Signore vuole “ri-crearci”, fare nuovo il nostro cuore, (...) per fare trionfare la gioia. (...) E fa tanti piani: fabbricheremo case, pianteremo vigne, mangeremo insieme: tutti quei progetti tipici di un innamorato»[1]. San Josemaría, pensando alle parole del profeta Isaia nelle quali Dio dice che siamo un progetto divino, non nascondeva la sua emozione: «Dio mi dice che sono suo! C'è da diventare pazzi d'Amore!»[2].


«Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato» (Sal 30, 2). Questo salmo esprime il ringraziamento di un uomo che è stato sottratto da Dio agli artigli della morte. Con tale esperienza, il salmista ha imparato almeno due cose importanti. La prima è che l’ira di Dio non dura neppure un istante, mentre la sua bontà dura tutta la vita. Il Signore non vuole distruggere, ma correggere affinché i suoi figli possano essere felici. Così, per quanto possiamo offenderlo con il peccato, è sempre possibile ritornare a lui con la certezza di essere accolti. Anche se, magari, qualche volta può sembrare che ci abbia lasciati soli o che si sia nascosto, in realtà Dio è sempre fedele. «Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, il tuo redentore, il Signore» (Is 54, 7-8).

Il secondo insegnamento del salmo è che la malattia e la morte fanno vedere all’uomo la sua fragilità. Nei momenti di benessere è facile dimenticarlo e non dare importanza al bisogno che abbiamo degli altri, e, soprattutto, di Dio. Ma quando arrivano i momenti di crisi personali o familiari, questa debolezza si manifesta pienamente; allora, si capisce con una profondità nuova, l’importanza che nella nostra vita ha la comunione – con Dio e con gli altri – e la preghiera. «Mi hai detto: Padre, sto attraversando un momento veramente brutto. E ti ho risposto all'orecchio: prendi sulle tue spalle una piccola parte di questa croce, soltanto una piccola parte. E se nemmeno così ce la fai... lasciala tutta intera sulle spalle forti di Cristo. E, fin da ora, ripeti con me: Signore, mio Dio: nelle tue mani abbandono il passato, il presente e il futuro, le cose piccole e le grandi, il poco e il molto, ciò che è temporale e ciò che è eterno. E rimani tranquillo»[3].


Una volta, un uomo importante, funzionario reale di alto rango, chiese a Gesù di andare a Cafarnao per guarire il figlio gravemente ammalato. La sua fede a la sua speranza sono comunque deboli, ma il suo amore di padre non vuole lasciare nulla di intentato per aiutare il figlio. Per questo, ha percorso più di trenta chilometri che separano Cafarnao da Cana, per andare a cercare quel Maestro che, come gli è stato assicurato, compie miracoli mai visti.

Il Signore si fa un poco pregare, lamentandosi calmo dell’incredulità che ha trovato in Galilea: tutti volevano vedere miracoli e prodigi, ma non erano ben disposti ad accogliere la sua parola né a convertirsi. L’uomo insiste e, soprattutto, comincia a poco a poco a credere veramente, come dimostra la sua docile obbedienza a ciò che gli dice Gesù: «Vai, tuo figlio è vivo» (Gv 4, 50). Mentre ritorna frettolosamente a Cafarnao, i suoi servi gli vanno incontro con la notizia che il suo bambino è guarito. «E credette lui e tutta la sua casa» (Gv 4, 53), conclude l’evangelista.

Il Signore vuole guarirci, come il figlio del funzionario del re, liberandoci dalle nostre schiavitù e perdonando i nostri peccati. E ci chiede la stessa cosa: avere fede: «La fede — ha spiegato Francesco — è dare spazio a questo amore di Dio; è fare spazio alla potenza, al potere di Dio, al potere di uno che mi ama, che è innamorato di me e che desidera la gioia con me. Questa è la fede. Questo è credere: è fare spazio al Signore perché venga e mi cambi»[4]. Possiamo chiedere a nostra Madre che ci aiuti ad avere, come lei, una fede grande, disponibile ed umile, affinché il Signore ci ricolmi con la sua grazia.


[1] Francesco, Omelia, 16-III-2015.

[2] San Josemaría, Forgia, n. 12.

[3] San Josemaría, Vía Crucis, VII Stazione, n. 3.

[4] Francesco, Omelia, 16-III-2015.