Meditazioni: Giovedì della 10ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel giovedì della decima settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Riconciliarsi con gli altri; Accettare le proprie e le debolezze degli altri; Guardare con comprensione materna.

- Riconciliarsi con gli altri

- Accettare le proprie e le debolezze degli altri

- Guardare con comprensione materna


«Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5, 23-24). L’Eucarestia, il sacramento dell’altare, ha il potere di trasformare il nostro rapporto con gli altri; Gesù ci dice di amare come lui, e si nasconde sotto le forme del pane e del vino affinché tale amore sia possibile. La nuova alleanza sigillata con il sangue di Cristo può renderci capaci di riconciliarci con coloro da cui ci siamo allontanati.

«L’affetto che ho per voi, figli, non è carità formale, fredda – diceva san Josemaría –; è carità vera e affetto umano sensibile perché siete il mio tesoro»[1]. In queste parole c’è una eco di quelle di san Paolo: «continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere» (Ef 1, 16). «Ogni persona è degna della nostra dedizione. Non per il suo aspetto fisico, per le sue capacità, per il suo linguaggio, per la sua mentalità o per le soddisfazioni che ci può offrire, ma perché è opera di Dio, sua creatura. Egli l’ha creata a sua immagine, e riflette qualcosa della sua gloria. Ogni essere umano è oggetto dell’infinita tenerezza del Signore, ed Egli stesso abita nella sua vita»[2]. Al contrario, continuare ad avere risentimento nei riguardi di un altro ci allontana anche da Dio, non gli lasciamo spazio per inondarci con la sua pace. Possiamo chiedere al signore la disposizione dei santi a riconoscere l’immagine divina nei nostri fratelli e, così, essere uniti sempre di più a Dio nella santa Messa.


«Chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio» (Mt 5, 22). Il Signore ci fa vedere la fonte di quasi tutti i conflitti: la nostra scarsa capacità di capire le debolezze proprie e degli altri. Dietro un giudizio particolarmente severo verso gli altri, non è difficile che troviamo errori personali non del tutto conosciuti. «Il dito puntato e il giudizio che usiamo nei confronti degli altri molto spesso sono segno dell’incapacità di accogliere dentro di noi la nostra stessa debolezza, la nostra stessa fragilità»[3].

Il Catechismo della Chiesa ci raccomanda un cammino sicuro: «Interpretare, per quanto è possibile, in un senso favorevole i pensieri, le parole e le azioni del prossimo»[4]. Il peccato, che è allontanarsi da Dio e dagli altri, porta con se una pena. Con le sue parole, Gesù ci mette davanti le intrinseche conseguenze della incomprensione degli altri: noi stessi restiamo intrappolati nei giudizi che diamo.

Molto diverso è lo sguardo divino che anche noi vogliamo acquisire. Con l’aiuto dell’Eucarestia, possiamo ottenere il perdono per noi e per gli altri. Gesù assume su di sé gli errori di tutti, gli errori e i peccati. Quando aiutiamo gli altri invece di giudicarli, raccogliamo l’infinita carità che verrà applicata alle nostre ferite, l’unguento divino che è capace di curare qualunque dolore e sofferenza.


«Una volta incamminati, ci scontriamo, immancabilmente, con l’uomo ferito»[5]. È impossibile non trovare fragilità nella nostra vita. Tuttavia, queste ferite possono diventare un momento di grazia se impariamo a scoprire qual è la reazione divina di fronte a tale dolore e a tale sofferenza: «Seguendo l’esempio del Signore, comprendete i vostri fratelli con un cuore molto grande, che non ha paura di nulla, e amateli veramente. Io vi voglio bene come vi vogliono bene le vostre madri (…). Se sarete molto umani, saprete passare sopra i piccoli difetti e vedere sempre, con comprensione materna, il lato buono delle cose»[6]. «Anche la lingua dev’essere trasformata, purificata. La lingua fa risuonare la musica che canta nel cuore»[7]. Se non abbiamo fatto nostro lo sguardo compassionevole di Gesù, non è strano che, a fine giornata, accumuliamo giudizi critici verso gli altri. Per questo, il posto migliore per ospitare chi ci sta intorno non è la nostra testa, quanto piuttosto il nostro cuore: è nella preghiera e nell’esame di coscienza che possiamo chiedere a Dio di trasformare ogni critica e ogni lamentela in desiderio di comprendere e amare i nostri fratelli così come sono, e non come ci piacerebbe che fossero.

Una madre è incapace di pensare male del proprio figlio, trova sempre un motivo per giustificarlo. Maria ha lo stesso atteggiamento con ciascuno di noi. Possiamo ricorrere a lei per farci aiutare ad avere questo sguardo per le persone che ci sono prossime.


[1] San Josemaría, in Vázquez de Prada, Il Fondatore dell’Opus Dei, volume III, Leonardo International, Milano 2004.

[2] Francesco, Evangelii Gaudium, n. 274.

[3] Francesco, Patris Corde, n. 2.

[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2478.

[5] Francesco, Fratelli tutti, n. 69.

[6] San Josemaría, Lettera 27, n. 35.

[7] Mons. Fernando Ocáriz, Alla luce del Vangelo, “La mormorazione banalizzata”.