Tema 16. La struttura gerarchica della Chiesa

La Chiesa è una società strutturata, nella quale alcuni hanno la missione di guidare gli altri. L’assistenza dello Spirito Santo a tutta la Chiesa affinché non faccia errori nel credere viene data anche al magistero affinché insegni fedelmente e autenticamente la Parola di Dio. Da sempre la Chiesa ha chiamato all’ordine del presbiterato soltanto gli uomini battezzati: si è sentita vincolata alla volontà di Cristo, che come Apostoli scelse solo degli uomini.

Sulla terra la Chiesa è, nello stesso tempo, comunione e società strutturata dallo Spirito Santo attraverso la Parola di Dio, i sacramenti e i carismi. È una comunione di figli di Dio perché tutti sono battezzati e si comunicano con lo stesso Pane, che è Cristo. È una società strutturata perché tra i battezzati si stabiliscono delle relazioni permanenti grazie alle quali alcuni hanno la missione di guidare gli altri. Come il pastore guida e si prende cura del gregge portandolo in luoghi sicuri nei quali si può cibare con della buona erba, secondo l’immagine biblica[1], così Cristo chiede a quelli che ha costituito pastori nella Chiesa di fare altrettanto[2]. La distinzione fra pastore e gregge e la dedicazione continua al gregge da parte del pastore, come Cristo che ha dato la vita per le pecore, è una immagine biblica che - pur nei suoi limiti logici - può aiutare a capire la presenza simultanea della comunione e della strutturazione sociale nella Chiesa.

Gli stessi sacramenti che costituiscono la Chiesa sono quelli che la strutturano perché sia sulla terra il sacramento universale di salvezza. In sostanza, attraverso i sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Ordine, i fedeli partecipano - con modalità diverse - alla missione sacerdotale di Cristo. Dall’azione dello Spirito Santo nei sacramenti e nei carismi scaturiscono le tre grandi caratterizzazioni che si danno storicamente nella Chiesa: i fedeli laici, i ministri sacri (che hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine e formano la gerarchia della Chiesa: diaconi, presbiteri e vescovi) e i religiosi.

Dicendo che la Chiesa ha una struttura gerarchica non si vuole affermare che alcuni siano migliori di altri. Tutti, grazie al Battesimo, sono chiamati alla missione di portare a Dio gli uomini e il mondo. Questa missione proviene direttamente da Dio, senza che nessuno abbia bisogno del permesso di un altro per adempierla. Tuttavia, per poterla portare a buon fine è indispensabile la grazia, perché senza Cristo non possiamo fare nulla[3]. Pertanto è necessario che alcuni - la gerarchia - rendano presente Cristo agli altri in modo sacramentale, affinché così tutti possano compiere la missione evangelizzatrice. Il servizio alla missione di tutti è il motivo dell’esistenza della funzione gerarchica nella Chiesa. La relazione tra fedeli e gerarchia ha una dinamica missionaria ed è la continuazione della missione del Figlio nella forza dello Spirito Santo. Pertanto la gerarchia nella Chiesa non è frutto di circostanze storiche nelle quali un gruppo ha prevalso su di un altro imponendo la propria volontà.


1. Il Romano Pontefice nella struttura gerarchica della Chiesa

Il Papa è vescovo di Roma e successore di san Pietro ed è il principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della Chiesa. Cristo ha dato all’apostolo san Pietro l’incarico di presiedere il collegio apostolico e di confermare i suoi fratelli nella fede[4]. Tutte le Chiese particolari sono unite alla Chiesa di Roma e tutti i vescovi che presiedono quelle chiese sono in comunione con il vescovo di Roma, che le presiede nella carità. La funzione di quest’ultimo è servire l’unità dell’episcopato e così servire l’unità della Chiesa. Per questo il Papa è capo del collegio dei vescovi e pastore di tutta la Chiesa, sulla quale detiene, per istituzione divina, la potestà piena, suprema, diretta e universale. Questa potestà del Papa ha un limite interno, perché il Romano Pontefice sta dentro e non al di sopra della Chiesa di Cristo. Pertanto è soggetto alla legge divina e alla legge naturale, come tutti i cristiani.

Il Signore ha promesso che la sua Chiesa rimarrà sempre nella fede[5] e garantisce questa fedeltà con la sua presenza, in virtù dello Spirito Santo. Questa proprietà è posseduta dalla Chiesa nella sua totalità (non in ogni suo membro). Perciò i fedeli presi nel loro insieme non sbagliano quando aderiscono unanimemente alla fede, guidati dal magistero vivo della Chiesa sotto l’azione dello Spirito Santo che guida gli uni e gli altri. L’assistenza dello Spirito Santo a tutta la Chiesa perché non si sbagli nel credere, si estende anche al magistero perché possa insegnare la Parola di Dio nella Chiesa con fedeltà e autenticità. In alcuni casi specifici quest’assistenza dello Spirito garantisce che gli interventi del magistero non contengano errori, e perciò si suole dire che in tali casi il magistero partecipa della stessa infallibilità che il Signore ha promesso alla sua Chiesa: «L'infallibilità del Magistero si attua quando il Romano Pontefice, in virtù della sua autorità di supremo Pastore della Chiesa, o il collegio dei vescovi in comunione con il Papa, soprattutto se riunito in un Concilio Ecumenico, proclamano con atto definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale, e anche quando il Papa e i Vescovi, nel loro ordinario Magistero, concordano nel proporre una dottrina come definitiva. A tali insegnamenti ogni fedele deve aderire con l'ossequio della fede»[6].

La consapevolezza della responsabilità che comporta la missione del Romano Pontefice e l’autorità di cui gode per portarla avanti deve spingere i cattolici a coltivare una intensa preghiera di intercessione per lui. Inoltre, l’unità con il Papa ci farà evitare di parlare negativamente in pubblico del Romano Pontefice o di sminuire la fiducia in lui, anche nei casi in cui non si condivida con lui qualche criterio personale concreto. Se questo dovesse succedere, il desiderio di chiarirsi le idee e di formarsi bene porta il cattolico a chiedere consiglio sui suoi dubbi, a pregare e studiare più a fondo quello che non riesce a capire, cercando di capire le motivazioni con mente aperta, e questo potrà richiedere un certo tempo e molta pazienza. Se la difficoltà dovesse persistere, sarà bene rimanere in silenzio[7] e osservare almeno un «assenso religioso dell’intelletto e della volontà»[8] ai suoi insegnamenti.


2. I Vescovi, successori degli Apostoli nella struttura gerarchica della Chiesa

La Chiesa è Apostolica perché Cristo l’ha edificata sugli Apostoli, testimoni scelti della sua Risurrezione e fondamento della sua Chiesa; perché, con l’assistenza dello Spirito Santo, insegna, custodisce e trasmette fedelmente il deposito della fede ricevuto dagli Apostoli. È apostolica anche per la sua struttura, in quanto è istruita, santificata e governata, fino al ritorno di Cristo, dagli Apostoli e dai loro successori, i vescovi, in comunione con il successore di Pietro. La successione apostolica è la trasmissione, mediante il sacramento dell’Ordine, della missione e della potestà degli Apostoli ai loro successori, i vescovi. Questi non ricevono tutti i doni che Dio ha concesso agli Apostoli, ma solo quelli che essi hanno ricevuto per trasmetterli alla Chiesa. Grazie a questa trasmissione, la Chiesa si mantiene in comunione di fede e di vita con la sua origine, mentre nel corso dei secoli ordina tutto il suo apostolato alla diffusione del Regno di Cristo sulla terra[9].

Il collegio dei vescovi, in comunione con il Papa e mai senza di lui, esercita inoltre la potestà suprema e piena sulla Chiesa. I vescovi hanno ricevuto la missione di insegnare come testimoni autentici della fede apostolica, di santificare dispensando la grazia di Cristo nel ministero della Parola e dei sacramenti, in particolare dell’Eucaristia; e di governare il popolo di Dio sulla terra[10].

Cristo ha istituito la gerarchia ecclesiastica con il compito di farlo presente a tutti i fedeli per mezzo dei sacramenti e attraverso la predicazione con autorità della Parola di Dio in virtù del mandato da Lui ricevuto. I membri della gerarchia hanno ricevuto anche il compito di guidare il Popolo di Dio[11]. La gerarchia è formata dai ministri sacri: vescovi, presbiteri e diaconi. Il ministero della Chiesa ha una dimensione collegiale, vale a dire, l’unione dei membri della gerarchia ecclesiastica è al servizio della comunità dei fedeli. Ogni vescovo esercita il suo ministero come membro del collegio episcopale - il quale succede al collegio apostolico - e in unione con il suo capo, che è il Papa, rendendosi partecipe con lui e con gli altri vescovi della sollecitudine per la Chiesa universale. Inoltre, quando gli viene affidata una chiesa particolare, la governa in nome di Cristo con l’autorità che ha ricevuto, con potestà ordinaria, propria e diretta, in comunione con tutta la Chiesa e sotto l’autorità del Santo Padre. Il ministero ha anche un carattere personale, perché ognuno è responsabile davanti a Cristo, che lo ha chiamato personalmente e gli ha conferito la missione attraverso il sacramento dell’Ordine.


3. Il ministero del presbiterio nella struttura gerarchica della Chiesa

Nella Chiesa il ministero è uno, perché il ministero apostolico è uno, ma per istituzione divina è partecipato in tre gradi: episcopato, presbiterato e diaconato. Questa unità del ministero si manifesta nella relazione interna tra i suoi tre gradi, che sono cumulativi: non si tratta di tre classi o tipi di ministri, ma di gradi di uno stesso e unico ministero, di un unico sacramento dell’Ordine. Chi ha ricevuto il grado dell’episcopato non per questo non è più anche presbitero e diacono; chi ha ricevuto il presbiterato continua a essere diacono. Questo sacramento implica pure un’unità ecclesiale. È un ministero di comunione perché si esercita a favore della comunità e perché è strutturato internamente come una comunione ministeriale con quelli che hanno ricevuto lo stesso sacramento nei suoi diversi gradi.

Nella sua missione nella Chiesa particolare, il vescovo può contare sui presbiteri incardinati, che sono i suoi principali e insostituibili collaboratori. I presbiteri sono rivestiti dell’unico e identico sacerdozio ministeriale del quale il vescovo possiede la pienezza. Lo ricevono attraverso il sacramento dell’Ordine, con l’imposizione delle mani del vescovo e la preghiera di consacrazione. A partire da quel momento, entrano a far parte del presbiterio, un collegio stabile formato da tutti i presbiteri che, uniti al vescovo, condividono la stessa missione pastorale a favore del popolo di Dio.

Pertanto, quando il vescovo associa i presbiteri alla sua sollecitudine e responsabilità, non lo fa come una sua scelta o per convenienza, ma come conseguenza del fatto che condividono la stessa missione della quale egli è titolare e che proviene dal sacramento dell’Ordine. I presbiteri sono i più diretti collaboratori del vescovo nella cura pastorale del popolo di Dio che gli è stato affidato. Essi fanno presente la sollecitudine del vescovo in un determinato luogo o ambito, predicano la Parola di Dio e celebrano i sacramenti, specialmente il sacramento dell’Eucaristia.


4. Perché solo gli uomini diventano sacerdoti nella Chiesa

Da sempre la Chiesa ha chiamato all’ordine del presbiterato soltanto gli uomini battezzati. Nel periodo patristico vi furono alcune sette che difesero il sacerdozio femminile, ma già allora furono condannate da sant’Ireneo, da sant’Epifanio e da Tertulliano. Chiamare al sacerdozio soltanto gli uomini è una pratica della Chiesa che non ha conosciuto cambiamenti negli oltre venti secoli della sua missione. Nemmeno si ha nozione di un insegnamento contrario da parte dei pastori, malgrado la missione cristiana sia stata compiuta spesso in un ambiente in cui le religioni conoscevano un ordine sacerdotale femminile.

Il motivo principale di questa decisione è dovuto alla Rivelazione. La Chiesa si è sentita sempre vincolata alla volontà di Cristo, che scelse come Apostoli solo uomini. Avrebbe potuto scegliere per questo collegio apostolico la creatura più eccelsa, sua Madre Santissima, ma non lo fece. E avrebbe potuto scegliere anche fra le donne che lo accompagnarono nella sua vita pubblica, alcune delle quali furono più fedeli e più forti di alcuni Apostoli, ma non lo fece. Gli Apostoli, a loro volta, si avvalsero della collaborazione di uomini e donne, ma si sentirono vincolati alla volontà del Signore quando si trattò di scegliere i loro successori nella missione pastorale, per la quale hanno scelto solo uomini. Si potrebbe pensare che questo sia frutto della mentalità ebraica, però in nessun caso Cristo diede a vedere che agiva condizionato da categorie culturali nei rapporti con le donne, che apprezzava molto, insegnando che uomini e donne godono di una uguale dignità. In realtà, il suo comportamento era in contrasto con quello che era consueto tra gli ebrei di allora e lo stesso avvenne nel caso degli Apostoli, che in questo seguirono il Maestro.

In diverse epoche è stata proposta la possibilità dell’accesso delle donne al sacerdozio. Da una parte, questa possibilità prende forza per il desiderio di corrispondere a situazioni culturali che legittimamente vogliono conferire una maggiore importanza al ruolo della donna nella società e nella famiglia. Tale maggiore attenzione è frutto di un approfondimento del messaggio del Vangelo, che proclama la pari dignità di tutti gli esseri umani. D’altra parte, questa opinione fa riferimento alla forma sacramentale della Chiesa, con la sua struttura gerarchica, come se fosse un modo semplicemente umano di organizzarsi. In sostanza, si sostiene che, se i cristiani si organizzano per la missione traendo ispirazione dai modelli culturali in cui vivono, ai giorni nostri si potrebbero inserire le donne in questa struttura sociale. In tal modo si esprimerebbe meglio l’attenzione alla donna che è già presente nel Nuovo Testamento e questo sarebbe utile alla missione perché più conforme alla mentalità dell’uomo moderno.

Nel modo di organizzarsi della Chiesa vi sono cose che sicuramente sono dovute alla creazione o all’assunzione di forme sociali in cui gli uomini si sono organizzati, ma altre sono state scelte e volute così da Cristo. Le prime sono frutto della creatività umana nella risposta a Dio, le seconde sono date da Dio. Mentre le prime si possono cambiare in base all’utilità per la missione; le seconde non sono soggette a cambiamenti sostanziali, perché sono dovute a una volontà positiva di Cristo. Nel corso della storia la Chiesa fa una distinzione fra quelle che appartengono al primo gruppo e quelle che fanno parte del secondo. A volte non è facile stabilire questa distinzione, si richiede pazienza, studio, meditazione della Parola di Dio e una disposizione aperta ai suoi disegni. Nel corso del loro pontificato, san Paolo VI e san Giovanni Paolo II, dopo aver studiato l’argomento, hanno riconosciuto che la Chiesa non ha il potere di ammettere donne al sacerdozio ministeriale. Nel 1994 il Papa san Giovanni Paolo II ha affermato che questo argomento è un insegnamento definitivo della Chiesa, che non può essere sottoposto a revisione[12]. L’anno successivo, riconoscendo che nel corso dei secoli i pastori, sparsi per il mondo nelle loro rispettive Chiese hanno sempre insegnato questo, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha affermato che si tratta di un insegnamento che gode dell’infallibilità che Dio ha promesso alla sua Chiesa nel suo magistero ordinario e universale.

Miguel de Salis


Bibliografia di base

- Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 871-896.

- Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 177-187, 333.


[1] Cfr. Gv 10, 11-18; Sal 22.

[2] Evangelii gaudium, n. 24: «Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce».

[3] Cfr. Gv 15, 5.

[4] Cfr. Lc 22, 31-32.

[5] Mt 16, 19.

[6] Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 185.

[7] Cfr. Istruzione Donum veritatis, n. 31.

[8] Codice di Diritto Canonico, n. 752; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 892.

[9] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 861-862.

[10] Cfr. Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 184, n. 186 s.

[11] Cfr. Mt 28, 18-20.

[12] San Giovanni Paolo II, cfr. Lettera Apostolica Ordinatio sacerdotalis, 22-V-1994, n. 4.