Commento al Vangelo: Cristo Re

Vangelo della solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo, 34ª domenica del Tempo ordinario (Ciclo C), e commento al vangelo.

Vangelo (Lc 23, 35-43)

Il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo:

– Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto.

Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano:

– Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso.

Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava:

– Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!

L’altro invece lo rimproverava dicendo:

– Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male.

E disse:

– Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno.

Gli rispose:

– In verità io ti dico: oggi con me sarai nel Paradiso.


Commento

La solennità di Cristo Re chiude l’anno liturgico che era iniziato nel 2018 con il tempo d’Avvento. E la Chiesa propone per il vangelo della Messa la scena dell’agonia di Gesù sulla croce, in mezzo alla derisione dei presenti e con una iscrizione che lo dichiara pubblicamente e ironicamente quale re dei giudei.

Il regno di Cristo è misterioso e in questa scena appare celato, nascosto. Papa Francesco affermava che questo vangelo presenta la regalità di Gesù «in un modo sorprendente. “Il Cristo di Dio, l’eletto, il Re” (Lc 23, 35.37) appare senza potere e senza gloria: è sulla croce, dove sembra più un vinto che un vincitore. La sua regalità è paradossale». E il Papa concludeva: «La grandezza del suo regno non è la potenza secondo il mondo, ma l’amore di Dio, un amore capace di raggiungere e risanare ogni cosa. Per questo amore Cristo si è abbassato fino a noi, ha abitato la nostra miseria umana, ha provato la nostra condizione più infima: l’ingiustizia, il tradimento, l’abbandono; ha sperimentato la morte, il sepolcro, gli inferi. In questo modo il nostro Re si è spinto fino ai confini dell’universo per abbracciare e salvare ogni vivente»[1].

San Luca è forse l’evangelista che più ha sottolineato questo amore misericordioso di Gesù durante la sua passione; un amore capace di sopportare ogni cosa per salvarci. Per esempio, è lui a ricordare la preghiera di Gesù al Padre per i suoi aguzzini (v. 34); e uno degli episodi lucani più caratteristici narra la conversione del buon ladrone, che in questa scena appare come la primizia della vittoria di Cristo e del suo misterioso regno.

In questo episodio il malfattore mostra le virtù necessarie per accogliere il regno di Dio. Spiega san Gregorio Magno, «ebbe fede, perché credette che avrebbe regnato con Dio, colui che vedeva morire accanto a sé; ebbe speranza, perché chiese di entrare nel suo regno, ed ebbe carità, perché rimproverò severamente il suo compagno di ruberie, che moriva assieme a lui, e per la stessa colpa»[2]. Quell’uomo subiva gli stessi tormenti di Gesù; ma invece di unirsi alla derisione degli altri e rinfacciargli la sua apparente passività davanti all’ingiustizia, sa riconoscere nel nazareno, suo compagno di supplizio, il Figlio di Dio.

D’altra parte, il buon ladrone manifesta un disposizione fondamentale che non ha l’altro suo compagno di sventura: “non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena!” (v. 40). Qui il timore di Dio ha il significato di assumere responsabilmente e sinceramente le conseguenze dei propri atti, senza scaricarne su Dio la colpa. È ciò che il buon ladrone spiega all’altro malfattore: “Noi [siamo qui] giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male”. Il timore di Dio spinge il buon ladrone a riconoscere e confessare la propria colpa. In tal modo passa, mediante la contrizione, dal timore all’amore: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno!” (v. 43). E allora riceve non soltanto il perdono di Dio, ma anche la promessa del paradiso. Spiega sant’Ambrogio, «il Signore concede sempre più di quel che gli si chiede: il ladro chiedeva soltanto che si ricordasse di lui, ma il Signore gli dice: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel Paradiso”. La vita consiste nell’abitare con Cristo, e dove c’è Cristo là c’è il suo regno»[3]. La disposizione contrita del buon ladrone gli ha meritato tutto l’amore di Dio e l’ingresso nel suo regno. A proposito di questa scena san Josemaría commentava: «Ho ripetuto molte volte quel verso dell’inno eucaristico: “Peto quod petivit latro pœnitens”, e ogni volta mi commuovo: chiedere come ha chiesto il ladrone pentito! Egli riconobbe di meritare quel castigo atroce... E con una parola rubò il cuore a Cristo e si aprì le porte del Cielo»[4].

Pablo M. Edo


[1] Papa Francesco, Omelia, 20-XI-2016.

[2] San Gregorio Magno, Moralia 18, 25.

[3] Sant’Ambrogio, Catena aurea, in loc.

[4] San Josemaría, Via Crucis, XII Stazione, n. 4.