Un viaggio in treno, un amico sacerdote e le strade di Londra

Certe volte la vocazione arriva attraverso una conversazione con alcuni amici, o con un sacerdote o magari passeggiando per Londra. Così è successo a Jaime.

Jaime (il secondo a destra) con vari amici.

Mi chiamo Jaime e sono di Saragozza, un’elegante città del nord-est della Spagna. Lì, sulle sponde del fiume Ebro, s’innalza la basilica del Pilar, un tempio barocco che ricorda una tradizione millenaria, quando, cioè, la Vergine Maria apparve all’apostolo Giacomo per incoraggiarlo a convertire tutta la popolazione della penisola iberica.

Provengo da una famiglia modesta che ha sempre voluto molto bene a Dio. Sono il maggiore di tre fratelli, e i genitori ci hanno saputo educare nella fede cristiana e nelle pratiche religiose. Ci hanno insegnato a pregare al mattino offrendo la giornata a Dio, a recitare le tre Ave Maria della sera e molte altre cose. I miei genitori ci hanno insegnato a coltivare un rapporto con Gesù. Da loro ho imparato che la cosa più importante della mia vita è la fede.

Alcune persone pensano che il 90% della nostra vocazione la dobbiamo ai nostri genitori, e nel mio caso lo confermo. La famiglia è stata il mio scudo, il mio rifugio, la mia scuola e il luogo in cui ho conosciuto l’amore di Dio che penetrava in me attraverso l’affetto dei miei genitori. La mia famiglia è stata un grande campo nel quale Dio ha piantato il seme della mia vocazione.

Come qualunque ragazzo normale della mia età, mi piaceva passare il tempo con i miei, stare con i miei amici, giocare a calcio... Ma con il passare del tempo ho perduto l’interesse a coltivare un rapporto con Dio e invece la mia preoccupazione maggiore era divertirmi. Le mie occupazioni principali erano stare il più possibile con gli amici e fare “il bello” con le ragazze. Sono diventato un adolescente del “gregge”, uno di quelli che cominciano a riportare brutti voti e si preoccupano soltanto di fare festa tutti i venerdì. Pensavo di essere un ragazzo speciale e simpatico, ma in fondo ero soltanto uno dei tanti ragazzi del mio quartiere.

L’esempio degli amici

Anche così, avevo attorno molti buoni amici e, anche se non lo dicevo, ammiravo alcuni di loro che prendevano sul serio il loro rapporto con Dio. Erano ragazzi normali, ma per loro la vita cristiana era molto importante e si sforzavano quotidianamente di essere persone migliori. Dicevo a me stesso: “Questi miei amici sono come tutti, ma la differenza è che hanno Dio nella loro vita e questo sembra dare loro una gioia particolare che li fa vivere felici”.

Quando è arrivato il mio ultimo anno di scuola, è comparso in me un certo senso di responsabilità pensando che dovevo ottenere buoni voti per iscrivermi alla facoltà che mi attraeva. Durante l’anno scolastico sono riuscito a concentrarmi negli studi, ho migliorato un po’ i miei voti e ho ripreso un certo rapporto con Dio. Ho cominciato a uscire con una ragazza, ma pochi mesi dopo abbiamo smesso. Io avevo la testa in altre cose. Andavo a Messa la domenica con i genitori e ogni tanto pregavo. Pensavo che questo fosse sufficiente e non mi vedevo come una specie di bigotto (così pensavo) che va a Messa tutti i giorni e si emoziona quando sente dei canti devozionali.

All’arrivo dell’estate i miei amici organizzarono una serie di programmi pieni di eccessi e di sfrenatezze. Praticamente erano interessati a bere alcool, andare alle feste e flirtare con le ragazze. Invece i miei genitori avevano immaginato per me un altro programma per approfittare del tempo in modo positivo. Quell’estate cominciò a venirmi in mente l’idea, un po’ vaga, di farmi sacerdote; però pensavo alla questione pigramente e non le davo la dovuta importanza. Ero anche convinto che fare il prete fosse adatto a gente grassa o strana.

Vengo da una famiglia ordinaria che ha sempre amato molto Dio. Sono il maggiore di tre fratelli e i nostri genitori ci hanno saputo educare nella fede cristiana e nelle pratiche religiose.

Ciò che mi disse un sacerdote…

A questo punto, siccome l’idea mi lasciava un po’ inquieto, decisi di parlare con don Juan Luis, un amico sacerdote, al quale ho detto che ogni tanto sentivo una certa trepidazione di diventare sacerdote, ma che credevo che la cosa non mi riguardasse perché io non ero il tipico giovanotto che va a Messa tutti i giorni e prega a tutte le ore. Don Juan Luis si fece una bella risata. “Senti Jaime, ognuno conosce la propria vocazione. Inoltre, non occorre essere sacerdote per essere un buon cristiano. Vi sono molte vocazioni per essere santo; il matrimonio, per esempio”. Sì, ci avevo pensato. Lui continuava a dirmi che a ognuno tocca scoprire la propria vocazione e la propria strada nella vita. L’importante era fare quello che Dio voleva. Quello era il problema: scoprire quello che Dio voleva da me.

Era chiaro: bisognava mettersi dinanzi a Dio e chiedergli che me lo facesse vedere, perché quando fosse arrivato il momento giusto lo potessi vedere. Bene, però questo mi suonava alquanto generico. Allora gli ho domandato se non c’era un altro modo per saperlo con maggiore chiarezza. Naturalmente, Dio parla in molte maniere: nel nostro cuore, attraverso la vita o le persone che uno ama... Sul momento sono rimasto un po’ perplesso e ho pensato: e se Dio mi chiamava a diventare sacerdote? Io non ero di quelli che stanno tutta la giornata in chiesa. Non sapevo se sarei stato capace di condurre una vita del genere. Don Juan Luis mi tranquillizzò: in fin dei conti la vocazione era una chiamata e non era il caso di preoccuparsi. L’importante era essere santo. Non potevo far altro che stare tranquillo perché Dio è molto buono e mi farà vedere che cosa aveva pensato per me.

Non ho dato alla cosa altra importanza e ho accantonato la questione nella mia mente. Così, ho trascorso il mio primo anno di università studiando economia, andando a poche lezioni, passando molto tempo al bar della facoltà, giocando a calcio o a rugby e passando il tempo con gli amici. Tutto procedeva normalmente. Tranquillo. Ho finito il primo anno di università senza infamia e senza lode. Per la verità, con un po’ d’infamia, perché sono rimasto indietro in qualche materia.

Una conversazione in treno

Poi è arrivata l’estate. Un’estate diversa, perché sono andato con un gruppo di amici in un campo di lavoro in un quartiere alla periferia di Barcellona. Tutto andava avanti tranquillamente fino a che è arrivato un viaggio in treno che mi ha costretto a impostare daccapo tutta la mia vita.

Mi trovavo in un vagone del treno con i miei amici e parlavamo di varie questioni di attualità. A me i viaggi fanno venire il sonno, e per questo sonnecchiavo mentre guardavo fuori dal finestrino. Abbiamo cominciato a discutere sugli studi universitari, le persone che avevamo cominciato a conoscere e le materie che non avevamo superato. A un certo punto ho domandato a un amico come andavano i suoi studi del secondo anno di Ingegneria, ma lui mi ha risposto che non avrebbe continuato perché si accingeva a studiare teologia. In un primo momento non ho capito bene quello che intendeva dire, e dissi incuriosito che, per quel che ne sapevo, il corso di teologia non presentava nessuna prospettiva di lavoro. Ma lui, molto serenamente, mi ha risposto che invece presentava una splendida prospettiva: diventare sacerdote.

In quel momento ho sentito che Dio mi chiamava a diventare sacerdote. Dio voleva entrare in me per non andarsene mai più, voleva guidare la mia vita. Ho avuto l’impressione che nella mia mente si fosse impressa una domanda silenziosa: “Il tuo amico ha il coraggio di farsi sacerdote, e tu non l’hai?”.

Ho fatto un sorriso e ho cambiato discorso perché nessuno notasse quello che stava succedendo dentro di me. Era stata una chiamata in piena regola. Ho ripreso a guardare fuori dal finestrino, cercando di riordinare i pensieri e di immaginare com’è la vita di un sacerdote.

A Londra, tutte le cose al loro posto

Alla fine dell’estate mi si è presentata l’occasione di andare a studiare l’inglese in Inghilterra. E sono partito. Durante la mia permanenza a Londra ho preso alloggio a Netherhall House, una residenza universitaria dell’Opus Dei. Lì sono stato molto bene e ho conosciuto molti giovani di vari paesi che erano a Londra per motivi di studio. La mattina avevo lezioni in una academy nei pressi di Piccadilly e nel pomeriggio visitavo la città e facevo progetti con i miei compagni.

Terminata l’estate, ho pensato bene di prendermi un anno sabatico e rimanere a Londra per farmi un’esperienza professionale. In tal modo avrei potuto lavorare e contemporaneamente migliorare il mio inglese. Così quell’anno sono rimasto a Londra e mi sono messo a cercare lavoro. Non era semplice che qualcuno mi offrisse un lavoro, anche perché non parlavo affatto l’inglese! Però, grazie a un amico, ho trovato lavoro in Hello Magazine, la rivista Hola in Inghilterra. Lì ho lavorato come borsista tecnico-informatico, perché ho avuto sempre una certa capacità a lavorare con i computer e gli altri apparecchi elettronici. In realtà ho approfittato molto dell’esperienza, ho imparato l’inglese e ho fatto buone amicizie.

Ed è stato a Londra che Dio ha messo un po’ per volta tutte le cose al loro posto. Ho cominciato a essere più ordinato, a studiare più intensamente e a prendere più sul serio la mia vita di cristiano. Il lavoro mi ha aiutato a maturare perché dovevo pagarmi la residenza universitaria ma passavo anche molto tempo da solo, e questo mi permetteva di riflettere sulla direzione che avrebbe preso la mia esistenza. Mentre passeggiavo per le strade di Londra pensavo al gran numero di persone che vive soltanto per il lavoro, il continuo stress cui erano sottoposti, il trambusto della City... E mi domandavo se era questa la vita che io volevo per me.

Un po’ per volta ho ripreso un rapporto con Dio e a tenerlo presente ogni giorno. Ho cominciato ad andare a Messa tutti i giorni, a recitare il rosario andando al lavoro, offrendolo per le persone che incontravo per strada. Ho ripreso la confessione frequente e ho cominciato a frequentare con regolarità gli incontri di formazione.

Jaime per le strade di una città della Russia.

La chiamata di Dio

Ero contento e ho scoperto la gioia di vivere come un cristiano che cerca di essere coerente con la propria fede. Tutto sembrava andare avanti come sempre, ma in realtà tutto era cambiato. Nulla di ciò che ho vissuto in quei mesi si può dire normale. Il motivo è che da quando sono atterrato a Londra una domanda continuava a frullarmi nella testa e farmi palpitare il cuore: “Perché non farsi sacerdote?”.

L’ansia di farmi sacerdote ritornava su di me come un continuo e soave martellio e l’interrogativo mi accompagnava dovunque. Non mi sentivo forzato, ma era Dio che mi invitava a seguirlo liberamente.

Trascorsi alcuni giorni, la domanda continuava a riproporsi in continuazione. Non la smetteva. Non ne potevo più, e così è arrivato il momento in cui, una volta per tutte, ho detto : “Signore, se tu vuoi che diventi sacerdote, lo sarò. Con il tuo aiuto, naturalmente”.

Ho avuto la prova che Dio mi stava sempre accanto. Anche se facevo di tutto per non pensarci, non mi abbandonava perché è mio Padre. E così gli ho detto di sì. Da quel momento la domanda è scomparsa e ha cominciato a prendere corpo nella mia vita. Che felicità! La mia gioia traboccava. Credo di essere stato coraggioso, anche se era stato Dio a darmi la generosità di rispondere. In quel momento ho sentito una pace immensa, più grande di quella che avevo mai sentito.

Alcuni giorni dopo ho preso la decisione di dire alla mia famiglia che avevo stabilito di farmi sacerdote. Non sapevo come dirlo a mio padre perché non sapevo come avrebbe accolto la notizia che volevo diventare prete. Allora non mi è venuto in mente altro che l’idea di mandargli un WhatsApp in cui, dopo averlo informato che sarei diventato un sacerdote, gli chiedevo di pregare per la mia vocazione. Naturalmente, due minuti dopo mio padre mi ha telefonato e mi ha domandato come mi era venuto in mente di dare una notizia simile per WhatsApp. Non volevo piantare una grana, ma volevo semplicemente che lo sapesse tutta la famiglia. Mio padre si è rallegrato molto e mi ha detto che era un onore per la famiglia che Dio gli regalasse un sacerdote.

Un paio di settimane dopo sono ritornato a Saragozza e l’ho comunicato di persona ai miei genitori e ai miei fratelli. Erano tutti molto contenti. Anche alcune persone alla cui approvazione non avrei pensato, si sono congratulate per la mia vocazione.

Il prozio e il Papa

Ora che avevo deciso di farmi sacerdote e che lo avevo comunicato alla famiglia e agli amici, che cosa mi restava da fare? Sono andato a trovare un mio prozio che è sacerdote, il quale mi ha pazientemente spiegato che per cominciare a percorrere la strada verso il sacerdozio bisogna andare in seminario e studiare filosofia e teologia per parecchi anni. Si vive con altri giovani che hanno la stessa vocazione e ti formano in quattro aspetti essenziali: intellettuale, spirituale, umano e pastorale.

Ho ascoltato tutto con attenzione, anche se mi era indifferente ciò che dovevo fare per diventare prete, tanto ero entusiasta dell’idea. Avendo scoperto quello che Dio aveva pensato per me, tutto il resto mi sembrava indifferente. Il sacerdozio mi si presentava come una vita piena. Ho capito che una vita di donazione agli altri è una vita che veramente può soddisfare. Proprio allora ho letto una frase di Papa Francesco: “Chi non vive per servire, non serve per vivere”. Questo volevo essere io.

Quello stesso settembre sono entrato in seminario. Avevo fatto sempre quello che mi piaceva fare, finché Dio mi ha fatto capire che, se volevo essere felice, ciò non sarebbe avvenuto facendo ciò che io volevo, ma facendo la sua Volontà.

Articolo pubblicato sulla rivista "Palabra".