Un consiglio per la Quaresima: meditare sull’estratto conto e sull'elemosina

Il tempo di quaresima è un tempo di conversione che può essere utile per interrogarci sul nostro rapporto con i beni materiali “a tu per tu con Gesù, facendo un sincero esame di coscienza sulle nostre disponibilità”, in modo da vivere con generosità l'elemosina.

La parola elemosina ha il potere di dare una svegliata al cuore e qualche volta di farci sentire “interiormente alle strette”. Nelle omelie quaresimali, quando ci vengono ricordati quei tre punti che danno carne alla nostra conversione, tendiamo ad accettare senza troppa difficoltà di venire esortati a una maggiore preghiera; così comprendiamo anche la convenienza – sebbene ci costi un po’ di più – di un pizzico di digiuno e austerità nel cibo e negli svaghi. Ma quando si inizia a parlare di elemosina, qualcuno incomincia a “friggere” sul banco della chiesa, aspettando con ansia che arrivi l’offertorio. Qualcun altro, più sicuro di sé, forse vorrebbe rispondere al predicatore quello che dissero gli Ateniesi a san Paolo: «Su questo ti sentiremo un’altra volta»[1].

quando si inizia a parlare di elemosina, qualcuno incomincia a “friggere” sul banco della chiesa

«Io già do», ci si giustifica vagamente. Talvolta invece ci si appella allo scetticismo: «Ma poi che fine fanno le mie offerte?». Ma la tendenza più naturale è piangere miseria, perché arrivare a fine mese può essere per molti un’impresa difficile. Il che forse è vero, anche se a volte la prima spesa che tagliamo è ciò di cui dobbiamo fare dono. Anche nell’elemosina esiste una specie di “cultura dello scarto”: donare cioè solo quello che scartiamo.

Oggi i soldi sono considerati quasi un argomento volgare. Il tema è protetto da una riservatezza e discrezione tale che spesso neanche la nostra coscienza riesce a vederci del tutto chiaro.

che rapporto abbiamo con i beni materiali, con la sicurezza del denaro, con la fiducia che in esso riponiamo in vista del nostro benessere futuro?

Per questo forse in quaresima può essere una buona idea usare il nostro estratto conto come libro di meditazione. A tu per tu con Gesù, facendo un sincero esame di coscienza sulle nostre disponibilità, chiederci che rapporto abbiamo con i beni materiali, con la sicurezza del denaro, con la fiducia che in esso riponiamo in vista del nostro benessere futuro.

La questione della disponibilità all’elemosina riguarda tutti i battezzati: spazia dalla paghetta settimanale di un ragazzino al portafoglio di titoli di un investitore. Si capiscono molte cose quando mettiamo in chiaro davanti al Signore quanto cuore abbiamo nei soldi e quanti soldi ci conserviamo nel cuore.

La questione della disponibilità all’elemosina riguarda tutti i battezzati

A partire da questo esame personale diventerà più facile aprire l’orizzonte, e comprendere che la nostra generosità al servizio degli altri e della Chiesa non corrisponde solo a un lodevole slancio di bontà, ma anche a un dovere di giustizia. «Il vero distacco induce a essere molto generosi con Dio e con i nostri fratelli; a darsi da fare, a cercare risorse, a spendersi per aiutare chi ha bisogno»[2], diceva san Josemaría. Ed è bello leggere nelle lettere di san Paolo con quanta insistenza l’Apostolo incoraggiasse le diverse comunità a sentire la chiamata a sostenere – anche economicamente – i poveri della Chiesa[3].

Sulle questioni finanziarie Dio ha priorità diverse dalle nostre. Non lo sconvolge che gli si versi addosso un costosissimo profumo[4] – purché sia fatto per amore –, paga le tasse con monete trovate dentro i pesci[5] e i personaggi delle sue parabole fanno talvolta un uso singolare del denaro[6].

Dio non ha bisogno dei nostri soldi, ma della nostra generosità

Il fatto è che Dio non ha bisogno dei nostri soldi – il mondo e quanto contiene gli appartiene[7] – ma della nostra generosità. La differenza è rilevante, perché significa che nel fare l’elemosina non importa in primo luogo quanto dai, ma quanto ti stai privando di qualcosa su cui realmente il tuo cuore si appoggiava. Solo così hai dato in elemosina “quello che c’è dentro”[8]. Ecco perché Gesù si entusiasma per le due monetine offerte dalla vedova, mentre lo lasciano indifferente gli abbondanti versamenti dei ricchi[9].

Il Signore è molto più interessato al motivo per cui viene compiuto ogni nostro gesto e al modo in cui lo compiamo. Ama l’elemosina discreta, fatta senza averne l’aria, senza suonare la tromba, senza che nessuno se ne accorga, nemmeno la nostra mano sinistra[10]. Ama soprattutto chi dona con gioia[11], col sorriso sulle labbra. Chi dona per amore e con amore, sapendo aggiungere alla sua elemosina la tenerezza verso il povero e verso chi soffre. Papa Francesco, quando era confessore, era solito chiedere alle persone se quando facevano l’elemosina guardavano negli occhi e toccavano la mano al mendicante[12]. Che si tratti di dare denaro, cibo o tempo, il nostro donare non può mai essere elemosina fredda e beneficenza stereotipata – come diceva san Josemaría[13] –, ma tenerezza cristiana e coinvolgimento.

Così questa nostra “meditazione sull’estratto conto” produrrà frutti di conversione vera, e offriremo con gioia i nostri beni per chi ha bisogno, arrotondando per eccesso e sostenendo in molti modi l’impegno della Chiesa al servizio delle anime in tutto il mondo.

D’altra parte, se ciascuno di noi ritornerà nella polvere di cui è fatto, immaginatevi che fine faranno i nostri soldi.

Don Luigi Vassallo


[1] At 17,32.

[2] San Josemaría, Amici di Dio, 126.

[3] Cfr. Rom 15,26-27; 1Cor 16,1-2; 2Cor 8 e 9.

[4] Cfr. Mc 14,5.

[5] Cfr. Mt 17,27.

[6] Cfr. Mt 20,8-16.

[7] Cfr. Sal 50,12.

[8] Lc 11,41.

[9] Cfr. Mc 12,41-44.

[10] Cfr. Mt 6,3.

[11] Cfr. 2Cor 9,7.

[12] Cfr. Papa Francesco, Discorso durante la veglia di Pentecoste, 13 maggio 2018.

[13] Cfr. San Josemaría, Amici di Dio, n. 229.