Presentata a Milano la biografia di Álvaro del Portillo

A Milano, il 22 settembre, è stata presentata la biografia di Álvaro del Portillo, edita dalla Edizioni Ares. A parlare del prossimo beato c'erano il card. Herranz, Mario Delpini, vicario generale della diocesi di Milano, e il prof. Agostino Giovagnoli, direttore del Dipartimento di Storia dell’Università Cattolica di Milano. Moderatore Francesco Ognibene, caporedattore di “Avvenire”.

Serata piacevole e familiare il 22 settembre, al teatro FAES di Via Amadeo a Milano, dove è stata presentata la nuova biografia di Álvaro del Portillo, primo successore di san Josemaría Escrivá e che tra pochi giorni verrà beatificato a Madrid; oltre all’autore, Javier Medina Bayo, sono intervenuti il card. Julián Herranz, collaboratore di don Álvaro durante e dopo il Concilio Vaticano II, mons. Mario Delpini, vicario generale della diocesi di Milano, e il prof. Agostino Giovagnoli, direttore del Dipartimento di Storia dell’Università Cattolica di Milano. Moderatore Francesco Ognibene, caporedattore di “Avvenire”.

La copertina della biografia ufficiale

Il card. Herranz ha aperto la serata con alcuni episodi tratti dai suoi ricordi personali. Raccontando di quando, appena arrivato a Roma, aveva accompagnato san Josemaria e don Álvaro in Vaticano; al ritorno, in un improvvisato giro turistico in macchina, il Padre gli aveva fatto allegramente da guida mentre don Álvaro, con delicatezza, spingeva il giovane Julián a parlare, a raccontare di sé e della sua vocazione. Ritornati poi a Villa Tevere, venuto a sapere delle sofferenze del Padre, sia fisiche sia morali, Herranz era rimasto molto colpito, sia dalla delicatezza del fondatore nel passare ore del proprio prezioso tempo con un ragazzo appena arrivato dalla Spagna, sia da quella di don Álvaro, che con quel piacevole diversivo e stuzzicando la conversazione aveva inteso sollevare per un poco san Josemaria dalle preoccupazioni quotidiane.

È un uomo buono e sempre cortese il don Álvaro che emerge poi dai racconti del Concilio, ma anche metodico e preciso nell’impostare l’impressionante mole di lavoro della Commissione per la disciplina del clero, invisibile e mai alla ricerca di meriti, energico e deciso quando, appena morto san Josemaría, l’Opera intera ricade sulle sue spalle; “noi eravamo distrutti – dice Herranz – e di colpo l’ombra prende corpo”, e don Alvaro, che era stato per tutta la vita l’invisibile sostegno di Escrivá, organizza, dirige, coordina con lucidità in quel frangente tanto difficile. Solo quattro giorni dopo, in un momento di intimità famigliare, scoppierà in pianto.

L’intervento di mons. Delpini, ha preso le mosse da una simpatica esclamazione: “Per me che sono prete milanese, che esista qualcosa fuori Milano…sì, alla televisione dicono…” Abituato alla diocesi più grande del mondo, con la sua capillare diffusione, mons. Delpini si era chiesto perché fosse necessario qualcosa come l’Opus Dei, perché non bastasse la chiesa, la parrocchia, essere buoni cristiani che vanno a messa la domenica. La risposta è che “lo Spirito Santo è più grande, più vivo dell’organizzazione” perché, se non costantemente sollecitata, “la tradizione può diventare stanchezza, la pratica ordinaria un’abitudine un po’ rassegnata”. Da qui la provvidenzialità dell’Opera, e che fosse la Provvidenza a dirigerne i passi a mons. Delpini è parso chiaro leggendo delle incredibili avventure e disavventure dei primi dell’Opus Dei e di don Álvaro in particolare, scampato in maniera apparentemente fortuita a un naufragio e a un incendio, sopravvissuto alla prigionia e al piombo durante la Guerra Civile spagnola, tutto perché si compisse, alla fine, il piano di Dio per la sua Chiesa.

Dopo di lui, il prof. Giovagnoli si è concentrato sulla particolare coincidenza dell’incontro tra don Álvaro e mons. Montini, che fin dal suo episcopato in Milano avvertiva la necessità di soccorrere una Chiesa “distaccata o che rischiava di distaccarsi” dai fedeli, “curiosissimo di tutte le altre istituzioni che nella diversità dei carismi cercavano di affrontare questo grande problema”. Un rapporto significativo, quello tra il vescovo del Portillo e il papa Montini che verranno beatificati a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro: vide forse Montini nell’Opus Dei qualcosa che era in grado di portare gli uomini e le donne comuni, impegnati nella costruzione della società, alla coscienza dell’importanza, in primo luogo, della costruzione di un grande edificio spirituale.

Ha anche sottolineato che al di là del ruolo importante che don Álvaro ha svolto nel Concilio Vaticano II, il maggior contributo che ha dato alla Chiesa è stato il suo lavoro per e nell’Opus Dei; in un altro momento ha detto che la grandezza di don Alvaro consiste nel fatto che è stato al servizio del fondatore e perciò della Chiesa.

È l’autore, Javier Medina, infine, ad articolare l’ultima riflessione: se il filosofo Diogene cercava l’uomo, intendendo l’uomo onesto, oggi il vero problema pare trovare un uomo felice. I santi sono persone che raggiungono la felicità in questa vita; nonostante le peripezie, certo, ma nessun santo si dichiara triste o insoddisfatto per la propria sorte. Come si spiega? “I santi hanno un cuore innamorato”.

Francesco Contino