Quando la realtà diventa un’avventura

Come fare a capire se il Signore chiama per un compito particolare? Ecco la testimonianza di Daria Gianella, numeraria dell’Opus Dei, presa da un libro che raccoglie storie di vocazioni cristiane.

Inatteso - Testimonianze che provocano i giovani (ed. La Fontana di Siloe - Lindau, 2018) è un libro scritto da don Arturo Cattaneo con Alessandro Cristofari e Cristina Vonzun. In questa pubblicazione sono raccolte le storie di tante persone, famose e non, che a un certo punto della loro vita hanno incontrato Gesù e gli hanno permesso di convertire il loro cuore.

Tutte le testimonianze raccolte nel libro hanno dei denominatori comuni: una chiamata, un sacrificio e (soprattutto) una grande gioia, proprio come scriveva san Josemaría in Solco (n. 8): “La chiamata del Signore — la vocazione — si presenta sempre così: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua». Sì: la vocazione esige rinuncia, sacrificio. Però come risulta gradevole il sacrificio — «Gaudium cum pace», gioia e pace — se la rinuncia è completa”!

come risulta gradevole il sacrificio — «Gaudium cum pace», gioia e pace — se la rinuncia è completa! (san Josemaría)

Le vocazioni testimoniate nel libro sono di vario tipo: la maggior parte sono vocazioni alla vita matrimoniale. Vogliamo presentarvi invece alcuni brani della storia di Daria Gianella, numeraria dell’Opus Dei.

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Dall’estate precedente avevo cominciato a parlare tutti i giorni alcuni minuti con Dio, ossia a pregare, a «fare orazione». Gli raccontavo la mia giornata, le cose che più mi avevano colpito, rallegrata, rattristata o preoccupata. Gli raccontavo i miei progetti, i miei desideri e le mie fatiche, condividevo con Gesù ciò che mi stava a cuore, come l’avrei fatto con il mio migliore amico e a poco a poco era Lui che lo stava diventando. All’inizio i suoi silenzi erano difficili da capire e sopportare, ma col tempo incominciai a rendermi conto che comunicava con me in un modo percettibile solo nel cuore [...].

col tempo incominciai a rendermi conto che Dio comunicava con me in un modo percettibile solo nel cuore

Il giorno del mio sedicesimo compleanno era una domenica. Andammo con la mia famiglia alla Messa delle 11 alla Chiesa degli Angioli a Lugano. Il Vangelo di quella domenica trattava il tema della vocazione, della chiamata degli apostoli. Per me fu come una conferma del fatto che Dio chiama, che Dio sceglie alcune persone a seguirlo più da vicino. Sentii che mi stava chiedendo la stessa donazione, di donargli tutta me stessa. Mi emozionai e allo stesso tempo ero serena, sicura, gli dissi il mio sì interiormente, si concluse la Messa e tornammo a casa.

Quello che scriverò ora potrà sembrare altezzoso, ma era la presa di coscienza di una ragazza di 16 anni che iniziava a conoscersi, con i suoi talenti e le sue insicurezze e aveva tutta la vita davanti a sé. Conoscevo le mie capacità e avevo una buona autostima: gli studi riuscivano bene, ero nella media della classe, non eccellevo ma non ero neppure scarsa. Se qualcosa m’interessava veramente sapevo di poter avere dei buoni risultati [...].

Chiesi poi l’ammissione all’Opus Dei come numeraria e la mia vita continuò come prima: frequentavo la prima liceo al Liceo 1 di Lugano, era la 1B, letteraria. La mattina dopo aver fatto colazione e un momento d’orazione andavo a Messa a Sant’Antonio, in centro città e in seguito mi recavo al liceo perché alle 8:15 iniziavano le lezioni.

Chiesi l’ammissione all’Opus Dei come numeraria e la mia vita continuò come prima

Avevo imparato leggendo Cammino, un libro di considerazioni spirituali scritto dal fondatore dell’Opus Dei, a offrire le ore di studio. Il punto 335 dice infatti: «Un’ora di studio, per un apostolo moderno, è un’ora d’orazione». Offrivo le ore di lezione e le ore di studio dei miei anni da liceale. L’idea della filiazione divina, ossia la consapevolezza di essere figlia di Dio, mi riempiva di una grande gioia e pace. Ricordo che un giorno una mia compagna di classe mi chiese come mai ero sempre di buon umore.

Mi stupì molto la sua domanda, perché da piccola ero spesso di cattivo umore e ricordo che avevo trovato in un libretto di preghiere, la preghiera del buon umore di San Tommaso Moro e alle volte la recitavo. A quella domanda mi resi conto che ero cambiata, che il fatto di essere e sentirmi figlia di Dio mi aveva dato una grande serenità e gioia e che questa era percepita intorno a me.

Ricordo che un giorno una mia compagna di classe mi chiese come mai ero sempre di buon umore

La mia vita vista da fuori non era cambiata, ero cambiata io interiormente, c’era una luce dentro di me che illuminava tutto, la realtà intorno a me aveva acquisito un significato più profondo e più affascinante, era tutta un’avventura. Vedevo il mondo, le situazioni, le difficoltà come una sfida che mi permettevano di crescere e non mi sentivo sola, sapevo di essere accompagnata costantemente dallo sguardo affettuoso di Gesù.

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