Monsignor Romero, un uomo di Dio

Articolo su mons. Óscar Arnulfo Romero, canonizzato il 14 ottobre, scritto dal cardinale Gregorio Rosa Chávez. Pubblichiamo anche altre notizie sull’arcivescovo di San Salvador.

La mia esperienza su un aspetto della vita di mons. Romero

Pubblicato su Palabra, settembre 2018 (n. 669), pp. 62-64

Varie volte ho pensato che forse sarebbe interessante condividere la mia esperienza accanto a monsignor Romero su un punto ben preciso: il suo rapporto con l’Opus Dei. Desidero offrire principalmente alcuni frammenti e dettagli che soltanto io conosco e credo che valga la pena condividerli in occasione della sua canonizzazione. Perciò utilizzerò anche una fonte quasi inedita: i suoi appunti dei ritiri spirituali che coprono un periodo che va da prima che diventasse vescovo fino a un mese prima di essere assassinato.

Monsignor Romero e don Fernando

Padre Óscar Romero, come in quegli anni tutti i vescovi del Paese, ricevette la visita dell’allora don Fernando Sáenz Lacalle – don Fernando – che chiedeva di scrivere una lettera per sottolineare il suo appoggio alla canonizzazione del fondatore dell’Opus Dei. È noto il testo colmo di lodi che il futuro arcivescovo di San Salvador scrisse. Quello che è certo è che quando fu nominato vescovo di Santiago de María fece a tutti i sacerdoti di questa piccola diocesi l’abbonamento alla rivista Palabra.

Quando ero ancora seminarista, ho accompagnato un paio di volte Padre Romero alla Residenza Doble Vía, a San Salvador, diretta dall’Opera, dove abitavano alcuni studenti universitari, in maggioranza della zona orientale del Paese. Egli era molto vicino all’Opera e aveva come direttore spirituale un sacerdote dell’Opus Dei. Credo che l’ultimo sia stato don Fernando e con lui si consultò prima di accettare l’elezione a vescovo ausiliare di San Salvador. Risulta che chiese consiglio a don Fernando per ciò che riguardava l’arcivescovo di allora, Luis Chávez y González, e soprattutto il suo ausiliare Arturo Rivera Damas. Da parte sua, la Nunziatura gli raccomandò di stare attento al comportamento di questi prelati e di informare opportunamente il Vaticano se notava qualcosa nella linea pastorale di costoro che non concordasse con le norme della Chiesa.

Alcuni anni dopo, quando monsignor Romero subentrò a monsignor Chávez nella sede arcivescovile, entriamo in uno scenario molto diverso: monsignor Romero, nella sua lettera pastorale programmatica La Iglesia de la Pascua (aprile 1977), fa un bellissimo elogio del suo predecessore, affermando che egli pensa di reggere il timone della nave arcivescovile “con il rispetto e la delicatezza di chi sente di aver ricevuto una eredità di incalcolabile valore per continuare a reggerla e a coltivarla attraverso nuove e difficili prospettive” (p. 5).

Nella medesima lettera pastorale, proprio a metà del testo, descrive il suo sogno di Chiesa, prendendolo dai documenti di Medellín: “Che appaia sempre più nitido il volto di una Chiesa autenticamente povera, missionaria e pasquale, svincolata da ogni potere temporale e audacemente impegnata nella liberazione di tutto l’uomo e di tutti gli uomini” (Juventud, 15). La parola “pasquale” appare nel testo tutta in lettere maiuscole. All’inizio del suo ministero vescovile, già dovette raccogliere il cadavere del primo sacerdote assassinato, Padre Rutilio Grande.

Questo suo sogno è divenuto realtà, che però ha firmato con il proprio sangue: ci ha lasciato una Chiesa martoriata, libera da ogni potere e totalmente impegnata con i poveri e con coloro che soffrono. Monsignor Romero è stato, come recita la bolla di beatificazione, “un pastore secondo il cuore di Cristo, un evangelizzatore e un padre dei poveri, eroico testimone del Regno di Dio”.

Questa bella descrizione del testimone di Cristo è stata completata il giorno successivo proprio da papa Francesco quando, al momento del Regina Coeli, ha affermato che “questo diligente pastore, seguendo l’esempio di Gesù, ha scelto di stare in mezzo al suo popolo, specialmente dei poveri e degli oppressi, anche a costo della sua vita” (24 maggio 2015).

Siamo ora all’inizio di tre anni drammatici segnati da una profonda polarizzazione anche all’interno della Chiesa. In El Salvador abbondavano le “riletture” di Medellín; è bene ricordarlo ora che abbiamo festeggiato da poco i cinquanta anni di questo avvenimento capitale per la Chiesa dell’America Latina. È anche opportuno sottolineare che soltanto in questo continente i documenti conciliari sono stati “ricevuti” ufficialmente. Era un’epoca nella quale non esistevano le mezze misure: “Devi deciderti – dicevano gli apostoli più radicali della liberazione –: o stai con il popolo oppresso o stai con gli oppressori”.

Il venerabile pastore fu costretto a darsi da fare in questa realtà. E in questo contesto mi confidò che stava ricevendo forti pressioni perché obbligasse l’Opus Dei a condividere in pieno queste posizioni, che alcuni consideravano “la linea dell’arcidiocesi”. Malgrado tutto, monsignor Romero mantenne l’amicizia e i rapporti con i membri dell’Opera, ascoltando con attenzione le loro osservazioni e i loro suggerimenti. Ne è prova che il giorno in cui morì aveva trascorso tutta la mattinata in una località vicino al mare per invito di don Fernando, che era andato a prenderlo in arcivescovado. Si erano uniti a loro diversi sacerdoti e si dedicarono soprattutto a studiare alcuni documenti relativi alla formazione sacerdotale. Al ritorno monsignor Romero era passato dalla casa dei gesuiti a Santa Tecla e si era confessato. Questo consta da diverse testimonianze, la più degna di fede delle quali è quella del suo confessore, il gesuita Segundo Azcue. Un’ora dopo accadeva il sacrilego assassinio.

L’Opus Dei riappare sulla scena quando, dopo l’inattesa morte di monsignor Arturo Rivera Damas, successore di Romero, viene eletto come arcivescovo di San Salvador monsignor Fernando Sáenz Lacalle, che era nato in Spagna, ma era arrivato a El Salvador appena ordinato sacerdote. Ricordiamo che la prima reazione di molte persone non fu favorevole a monsignor Sáenz. In questo contesto la rivista Palabra pubblicò una breve nota di Rutilio Silvestri nella quale si sosteneva che era ovvio che l’incarico fosse affidato proprio a uno dei migliori amici del pastore assassinato, che per lungo tempo era stato suo confidente e anche suo direttore spirituale. Sarebbe interessare indagare criticamente questo aspetto del sacerdote e vescovo Óscar Romero, così come la sua relazione con l’Opera nei tre anni della sua intensa e difficile attività pastorale in questa porzione della Chiesa di Dio.

La spiritualità dell’Opus Dei negli scritti spirituali di monsignor Romero

Come contributo iniziale, farò ricorso a una fonte praticamente inedita: i suoi appunti degli esercizi spirituali, che vanno dal 1966, quando ancora non era vescovo, fino al ritiro che fece un mese prima della morte, nel febbraio del 1980. Questi appunti sono già a disposizione del pubblico, anche se non ancora completamente. Sono in totale 324 pagine. In ogni pagina troviamo gli appunti scritti di suo pugno e, nella parte superiore, la trascrizione in caratteri tipografici per facilitare la lettura del testo scritto a mano.

Nel ritiro che fa nei pressi del lago di Ilopango nel settembre del 1968 – l’anno precedente aveva festeggiato le sue nozze d’argento sacerdotali –, vi sono varie allusioni a Cammino, il celebre libro di san Josemaría. Alla meditazione sul peccato annota questi propositi:

Più vita interiore, più servizio agli altri. Negativamente: strategia. Allontanarsi dal pericolo (Cammino). Piano di vita. Lottare contro il peccato veniale: siate perfetti. Ansia di riparazione e di penitenza (Cammino). Ora di spiritualità (...). Io morirò. Autunno... io sarò una foglia morta (Cammino). Umiltà. Il mondo continuerà. Nessuno si ricorda di quelli che sono passati”. E dopo aver fatto l’esame di coscienza, annota: “La cosa più importante, un atto di amore (Cammino)”.

In questi appunti dettagliati troviamo alla fine parecchi riferimenti alla rivista Palabra, una alla meditazione del Vangelo di Marta e Maria (Cammino: il tabernacolo a Betania). Nella parte finale trascrive questa citazione da una lettera del fondatore dell’Opus Dei scritta nel 1950: “Ognuno deve santificare la sua professione, santificarsi nella sua professione, santificare con la sua professione”. C’è spazio anche per una frase di san Josemaría che in una conversazione, quando seppe che era appena morta sua madre, disse: “La madre del sacerdote dovrebbe morire tre ore dopo suo figlio”.

Dal 10 al 14 novembre 1969 partecipò al ritiro predicato da padre Juan Izquierdo dell’Opus Dei. In quel momento Romero è impegnato come Segretario Generale della Conferenza Episcopale di El Salvador e può essere presente soltanto di quando in quando perché deve adempiere i compiti che gli affida monsignor Pedro Arnoldo Aparicio, presidente dell’episcopato. Tuttavia lascia traccia della sua delusione perché non c’è un clima adeguato all’incontro con Dio: “Manca il raccoglimento. Ho dovuto rompere definitivamente il silenzio... Interrompo il mio ritiro alle 11, e mi dedico interamente a preparare l’agenda [...]. Il 12 mi sono svegliato nuovamente ad Apulo. In questi tre giorni farò quello che potrò”. Nella pagina seguente annota brevemente: “26 gennaio (del 1970). Confessione con il Padre Javier”.

Poche righe più sotto troviamo questa frase, scritta il 21 aprile 1970: “Il Signor Nunzio mi notifica la volontà del Papa. Debbo rispondere domani. Chiedo consiglio a padre Fernando”. Il giorno successivo annota ciò che questi gli dice; vale la pena trascriverlo integralmente: “Elementi positivi: linea di direzione spirituale. a) Di fronte al problema base: prenderlo come un sacrificio, una espiazione e prendere sul serio la purificazione: fuga dalle occasioni, intensa vita di orazione e mortificazione. b) Di fronte alla tentazione del trionfalismo: vedere una seria responsabilità, un servizio per nulla facile, un lavoro alla presenza di Dio. c) Di fronte alla tentazione di pusillanimità: considerarlo un lavoro davanti a Dio, un servizio e un orientamento a milioni di anime. Il Buon Pastore dà la sua vita per le pecore”.

Poco dopo, in data 8 giugno 1970 (Colegio Belén), scrive: “Il 21 aprile (21 doveva essere!) il Signor Nunzio, alle 6 del pomeriggio, mi ha notificato la mia designazione a vescovo ausiliare di monsignor Arcivescovo. Dovevo dare una risposta il giorno dopo. Ho consultato il P. Sáenz, il Dr. Dárdano, il P. Navarrete”. Segue un breve riassunto di ciò che ognuno dei consultati gli dice.

Una guida sicura in mezzo alla tormenta

Ciò che annota di seguito marcò a fuoco il neo-vescovo: “L’Assemblea Plenaria dell’Episcopato del Centro America e Panama nell’Antica Guatemala: 27 maggio – 2 giugno. Assemblea plenaria dell’Episcopato del Centro America e Panama nell’Antica Guatemala. Autentica grazia di primo ordine: la convivenza con un vescovo tanto buono, la riflessione di mons. (Eduardo) Pironio, la liturgia, il mio lavoro...”.

L’amato vescovo argentino, la cui causa di canonizzazione è stata introdotta diversi anni fa, per invito di Paolo VI, nel 1974 predicò il ritiro in Vaticano. Ripeté lo stesso ritiro l’anno dopo, in luglio, alla presenza dei vescovi dell’Istmo centro-americano nell’Antica Guatemala. Monsignor Romero era in quel momento il segretario aggiunto del SEDAC (Segretariato episcopale dell’America centrale) e prese alcuni appunti di ognuna delle dodici meditazioni predicate da Pironio.

Lì monsignor Romero comprese il vero significato di Medellín come avvenimento salvifico che incarna gli insegnamenti del Concilio Vaticano II nella drammatica realtà latino-americana. Lì si fortifica una amicizia che farà diventare il vescovo argentino suo consigliere e anche suo confidente ogni volta che l’arcivescovo martire andrà in Vaticano. Questo appare con estrema chiarezza nel Diario di monsignor Romero, e del resto è noto a tutti.

Servano queste righe a conoscere meglio il primo santo salvadoregno. Che il profumo della sua santità – romero significa rosmarino, una pianta aromatica – si espanda in lungo e in largo nel mondo.

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Altri articoli su mons. Óscar Romero

• Oscar Romero, ucciso mentre offriva il pane e il vino. Mons. Romero aveva conosciuto personalmente san Josemaría e aveva affidato la direzione della propria vita spirituale a sacerdoti dell'Opus Dei. Articolo di Béatrice de La Coste, portavoce dell'Opus Dei in Francia.

• «Mons. Romero sarà un santo molto amato»: “Era un uomo devoto, distaccato da sé e dedicato al suo popolo”. Così mons. Echevarría, precedente prelato dell’Opus Dei, ricordava mons. Romero.

•«Monsignor Romero è stato un uomo di Dio»: Intervista a Joaquín Alonso, uno degli stretti collaboratori di san Josemaría, che ha incontrato varie volte a Roma il futuro santo. Queste sono alcune delle sue impressioni sulla sua pietà e sulla sua vita di fede.

Biografia di mons. Óscar Romero

Era nato nel 1917 a Ciudad Barrios, El Salvador. Studiò nelle scuole dei clarettiani e poi, dal 1937 al 1944, all’Università Gregoriana di Roma. È stato ordinato sacerdote nel 1942 e arcivescovo di San Salvador nel 1977.

Ha lottato a difesa degli umili, rifiutando la violenza e diffondendo l’amore alla giustizia. Nel 1980 è stato proposto per il Premio Nobel per la Pace.

Ha presieduto la Conferenza episcopale salvadoregna ed è stato dottore honoris causa delle Università di Lovanio e di Georgetown.

Il giorno 24 marzo 1980, attorno alle 6,25 del pomeriggio fu assassinato con un colpo di pistola sparatogli mentre celebrava l’eucaristia nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza di San Salvador, esattamente nel momento in cui si preparava a ricevere il corpo di Gesù. Il martire salvadoregno monsignor Óscar Arnulfo Romero è stato beatificato il 23 maggio 2015 nella capitale di El Salvador alla presenza di centinaia di migliaia di devoti e dei presidenti di vari Paesi riuniti nella piazza Salvador del Mundo.