Carità e misericordia per “smuovere” i “giovani da divano”

Per monsignor Mariano Fazio, vicario generale della prelatura dell’Opus Dei e padre sinodale, «I giovani cattolici possono invitare i loro coetanei non tanto a ritiri spirituali ma a fare opere di misericordia»

Andrea Acali ha intervistato mons. Mariano Fazio, vicario generale della prelatura dell'Opus Dei e padre sinodale. L'intervista è stata pubblicata il 19 ottobre 2018 su Roma Sette.


Il Sinodo dei vescovi sui giovani si avvia all’ultima settimana di lavori. Tra i padri di nomina pontificia c’è monsignor Mariano Fazio, vicario generale della Prelatura dell’Opus Dei e vice Gran cancelliere della Pontificia Università della Santa Croce, che ha accettato di rispondere alle domande di Romasette.

In questi giorni al Sinodo si sta parlando di fede. Che cosa allontana i giovani dalla Chiesa?

Prima di tutto bisogna distinguere perché partecipando al Sinodo mi rendo conto che la realtà è molto diversa nei diversi continenti. Grazie a Dio in Africa, in Asia, in diversi Paesi dell’America Latina i giovani sono molto vicini alla Chiesa. Invece dove c’è maggior sviluppo economico, dove si annida quello che il Papa chiama consumismo e individualismo, mi sembra che purtroppo i giovani cadano facilmente preda di questi idoli, scambiando il vero Dio per cose per le quali non vale la pena. Ma la colpa è anche nostra, cioè della Chiesa, che non è solo il Papa, i vescovi e i sacerdoti, ma anche adulti e giovani cattolici, che forse non diamo l’esempio per attirare le persone. E l’esempio è imitare Gesù, che è colui che veramente attrae i giovani. Di se stesso ha detto “Io sono via, verità e vita”, e questo riempie il cuore di gioia. Purtroppo le mancanze e gli scandali hanno allontanato tantissimi giovani, soprattutto nel mondo occidentale.

Uno dei problemi emersi è la scarsa propensione dei giovani a impegnarsi in maniera definitiva. Come si può rimediare?

Si è parlato molto del fatto che i giovani sono sempre disposti a “fare” delle cose e quindi bisogna accompagnarli, per esempio, affinché abbiano una vicinanza ai più poveri, a chi soffre, agli anziani. Lì potranno scoprire il volto della misericordia di Dio e capire che ogni persona ha una propria dignità. Potranno uscire da quella “zona di comfort” dove tanti, specie in Occidente, se ne restano comodi: sono quelli che il Papa chiama i “giovani del divano”. L’esperienza della carità, della misericordia, la vicinanza a chi ha bisogno, ma anche la capacità di ascoltare, possono avvicinare tantissimi ragazzi. È stato suggerito che i giovani cattolici possono invitare i loro coetanei non tanto a ritiri spirituali o cerimonie religiose quanto ad accompagnarli a fare queste opere di misericordia. Mi sembra molto pratico ed efficace.

La libertà nelle scelte è un altro dei temi sul tappeto. A volte la “cultura del provvisorio” è proprio figlia di un malinteso senso di libertà. Come si possono accompagnare i giovani a coniugare libertà, responsabilità e donazione?

Accompagnamento è una parola chiave. I giovani chiedono di essere accompagnati. Ma il ruolo dell’accompagnatore deve essere quello di strumento che deve scomparire, per mettere ogni anima di fronte a Gesù. In uno dei Circoli minori è stato detto che il modello è San Giovanni Battista, che prepara l’avvento del Signore ma a un certo punto scompare e lascia che i suoi discepoli vadano da Cristo. L’accompagnatore non può imporre le proprie visioni della vita ma deve chiedere luci allo Spirito Santo per portare i giovani a scoprire liberamente, ognuno nella sua anima, ciò che Dio gli sta chiedendo in ogni momento. È un punto focale del Sinodo e sono sicuro che nel documento finale si sottolineerà molto l’importanza dell’accompagnamento spirituale.

Il fondatore dell’Opus Dei, San Josemaria, al punto 27 di “Cammino” ha scritto “Ridi perché ti dico che hai vocazione matrimoniale…”. Il significato del termine vocazione è uno dei punti centrali del dibattito sinodale. È ancora così difficile far passare il concetto di chiamata universale alla santità?

Nell’aula del Sinodo è un dato acquisito, tutti ne hanno parlato. Poi, all’interno di tale chiamata universale, ci sono quelle particolari. È stato ribadito, citando spesso San Paolo VI, che tutti abbiamo una vocazione, la vita stessa è vocazione. L’importante è che ognuno possa scoprire cosa gli chiede il Signore. Evidentemente quella matrimoniale è una grande vocazione e per questo si è parlato molto del ruolo della famiglia per educare i giovani e anche per suscitare vocazioni alla vita religiosa, sacerdotale, all’impegno sociale. Il punto chiave sono i genitori, le famiglie cristiane e questo lega molto il Sinodo a quelli precedenti.

Lei è conterraneo del Santo Padre e lo conosce dai tempi di Buenos Aires: ha avuto occasione di parlare con lui in questi giorni? Che impressione ha dei lavori e del clima dell’assemblea?

L’ambiente è molto fraterno e positivo. Sono stupito di come il Papa, con la sua età, sia sempre tra noi: saluta tutti personalmente, sorride, ascolta, parla con ciascuno ed è una grandissima testimonianza. L’ho salutato quasi tutti i giorni, ha una disponibilità totale. È molto contento di come si stanno svolgendo i lavori e ci incoraggia a pregare e a lavorare sodo. L’esempio del Santo Padre ci mostra come uno deve essere pastore con l’odore delle pecore: questo è un dato che tutti hanno rilevato.

Andrea Acali

Roma Sette