TEMA 32. Il secondo e il terzo comandamento del Decalogo

Il secondo comandamento della Legge di Dio prescrive di rispettare il nome del Signore, mentre il terzo comanda di santificare le feste.

1. Il secondo comandamento

Il secondo comandamento della Legge di Dio è: Non nominare il nome di Dio invano . Questo comandamento «prescrive di rispettare il nome del Signore» ( Catechismo , 2142) e comanda di onorare il nome di Dio. Non lo si deve pronunciare «se non per benedirlo, lodarlo e glorificarlo» ( Catechismo , 2143).

1.1. Il nome di Dio

«Il nome esprime l’essenza, l’identità della persona e il senso della sua vita. Dio ha un nome. Non è una forza anonima» ( Catechismo , 203). Tuttavia, Dio non può essere compreso nei concetti umani, non esiste un’idea capace di rappresentarlo, né nome che possa esprimere interamente l’essenza divina. Dio è “Santo”, e questo significa che è assolutamente superiore, che è al di sopra di ogni creatura, che è trascendente.

Malgrado tutto, affinché potessimo invocarlo e rivolgerci personalmente a Lui, nell’Antico Testamento Egli «si è rivelato al suo popolo progressivamente e sotto diversi nomi» ( Catechismo , 204). Il nome che rivelò a Mosè indica che Dio è l’Essere per essenza: «Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”. Poi disse: “Dirai agli israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi. […] Questo è il mio nome per sempre”» ( Es 3, 13-15; cfr. Catechismo , 213). Per rispetto alla santità di Dio, il popolo di Israele non pronunciava questo nome, ma lo sostituiva col titolo di “Signore” (“Adonai”, in ebraico; “Kyrios”, in greco) (cfr. Catechismo , 209). Altri nomi di Dio nell’Antico Testamento sono: “Élohim”, termine che è il plurale maiestatico di pienezza o di grandezza; “El-Saddai”, che significa possente, onnipotente.

Nel Nuovo Testamento, Dio fa conoscere il mistero della sua intima vita trinitaria: un solo Dio in tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Gesù Cristo ci insegna a chiamare Dio “Padre” ( Mt 6, 9): “Abbà”, che è il modo familiare di dire Padre in ebraico (cfr. Rm 8, 15). Dio è Padre di Gesù Cristo e Padre nostro, anche se non nello stesso modo, perché Egli è il Figlio Unigenito e noi figli adottivi. Siamo però veramente figli (cfr. 1 Gv 3, 1), fratelli di Gesù Cristo ( Rm 8, 29), perché lo Spirito Santo è stato inviato nei nostri cuori e partecipiamo della natura divina (cfr. Gal 4, 6; 2 Pt 1, 4). Siamo figli di Dio in Cristo. Di conseguenza possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre” in verità, come consiglia san Josemaría: «Dio è un Padre pieno di tenerezza, di infinito amore. Chiamalo Padre molte volte al giorno e digli da solo a solo, nel tuo cuore – che lo ami, che lo adori, che senti l’orgoglio – che ti riempie di forza – di essere suo figlio» [1] .

1.2. Onorare il nome di Dio

Nel Padrenostro preghiamo: “Sia santificato il tuo nome”. Il termine “santificare” qui va inteso nel senso di «riconoscere il nome di Dio come santo, trattare il suo nome in una maniera santa» ( Catechismo , 2807). È ciò che facciamo quando adoriamo, lodiamo e ringraziamo Dio. Ma anche la frase “sia santificato il tuo nome” è una delle petizioni del Padrenostro: nel pronunciarla chiediamo che il suo nome sia santificato attraverso noi, ossia, che gli diamo gloria con la nostra vita e che anche gli altri lo glorifichino (cfr. Mt 5, 16). «Dipende inseparabilmente dalla nostra vita e dalla nostra preghiera che il suo Nome sia santificato tra le nazioni» ( Catechismo , 2814).

Il rispetto del nome di Dio richiede anche il rispetto del nome della Santissima Vergine Maria, dei Santi e delle realtà sante nelle quali Dio è in qualche un modo presente, prima tra queste la Santissima Eucaristia, vera Presenza tra gli uomini di Gesù Cristo, Seconda Persona della Santissima Trinità.

Il secondo comandamento proibisce ogni uso sconveniente del nome di Dio (cfr. Catechismo , 2146), e in particolare la bestemmia , che «consiste nel proferire contro Dio - interiormente ed esteriormente – parole di odio, di rimprovero, di sfida […]. È blasfemo anche ricorrere al nome di Dio per mascherare pratiche criminali, ridurre popoli in schiavitù, torturare o mettere a morte. […] La bestemmia è […] per sua natura un peccato grave» ( Catechismo , 2148).

Proibisce anche il falso giuramento (cfr. Catechismo , 2150). Giurare vuol dire mettere Dio come testimone di ciò che si afferma (per esempio, a garanzia di una promessa o di una testimonianza, per provare l’innocenza di una persona ingiustamente accusata o sospettata, o per mettere fine a liti o discussioni, ecc.). Vi sono circostanze nelle quali il giuramento è lecito, se viene fatto con verità e con giustizia, e se è necessario, come può succedere in un tribunale o quando si assume un incarico (cfr. Catechismo , 2154). Per il resto, il Signore insegna che non si deve giurare: «Sia il vostro parlare sì, sì; no, no» ( Mt 5, 37. Cfr. Gc 5, 12; Catechismo , 2153).

1.3. Il nome del cristiano

«L’uomo […] in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa» [2] . Non è “qualcosa”, ma “qualcuno”, una persona. «Soltanto l’uomo è chiamato a condividere, nella conoscenza e nell’amore, la vita di Dio. A questo fine è stato creato ed è questa la ragione fondamentale della sua dignità» ( Catechismo , 356). Nel Battesimo, una volta divenuto figlio di Dio, riceve un nome che rappresenta la sua singolarità irripetibile davanti a Dio e davanti agli altri (cfr. Catechismo , 2156, 2158). Il Battesimo fa diventare Cristiano cioè seguace di Gesù Cristo. Cristiano è nome di ogni battezzato in quanto chiamato a identificarsi col Signore: «ad Antiochia per la prima volta i discepoli [quelli che si convertivano nel nome di Gesù Cristo, per azione dello Spirito Santo] furono chiamati Cristiani» ( At 11, 26).

Dio chiama ciascuno col suo nome (cfr. 1 Sam 3, 4-10; Is 43, 1; Gv 10, 3; At 9, 4). Ama ciascuno personalmente. Gesù Cristo, dice San Paolo, «mi ha amato e ha dato se stesso per me» ( Gal 2, 20). Da ciascuno si aspetta una risposta di amore: «amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» ( Mc 12, 30). Nessuno può sostituirci in questa risposta di amore a Dio. San Josemaría incoraggia a meditare «con calma quella divina affermazione, che inquieta l’anima e, nello stesso tempo, le fa gustare la dolcezza del miele: Redemi te, et vocavi te nomine tuo: meus es tu ( Is 43, 1); ti ho redento e ti ho chiamato per nome: sei mio. Non dobbiamo rubare a Dio ciò che è suo. Un Dio che ci ha amato fino a morire per noi, che ci ha scelti da tutta l’eternità, prima della creazione del mondo, per essere santi al suo cospetto (cfr. Ef 1, 4)» [3] .

2. Il terzo comandamento del Decalogo

Il terzo comandamento del Decalogo è: Ricordati di santificare le feste . Comanda di onorare Dio con opere di culto la domenica e gli altri giorni di festa.

2.1. La domenica o giorno del Signore

La Bibbia narra l’opera della creazione in sei “giorni”. Alla conclusione «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona […]. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto» ( Gn 1, 31. 2, 3). Nell’Antico Testamento, Dio stabilì che il settimo giorno della settimana fosse sacro, un giorno particolare e diverso dagli altri. L’uomo, che è chiamato a partecipare al potere creativo di Dio perfezionando il mondo mediante il proprio lavoro, deve anche astenersi dal lavoro il settimo giorno per dedicarlo al culto divino e al riposo.

Prima della venuta di Gesù Cristo, il settimo giorno era il sabato. Nel Nuovo Testamento il “ Dies Domini ”, il giorno del Signore, è la domenica perché è il giorno della Risurrezione del Signore. Il sabato rappresentava la fine della Creazione; la domenica rappresenta l’inizio della “Nuova Creazione” che ha avuto luogo con la Risurrezione di Gesù Cristo (cfr. Catechismo , 2174).

2.2. La partecipazione alla Santa Messa la domenica

Dato che il Sacrificio dell’Eucaristia è «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù» [4] , la domenica si santifica soprattutto con la partecipazione alla Santa Messa. La Chiesa concretizza così il terzo comandamento del Decalogo: «La domenica e le altre feste di precetto i fedeli sono tenuti all’obbligo di partecipare alla Messa» (CIC, can. 1247; Catechismo , 2180). Oltre alla domenica, «devono essere osservati i giorni del Natale del Signore Nostro Gesù Cristo, dell’Epifania, dell’Ascensione e del santissimo Corpo e Sangue di Cristo, della Santa Madre di Dio Maria, della sua Immacolata Concezione e Assunzione, di san Giuseppe, dei santi Apostoli Pietro e Paolo, e infine di tutti i Santi» (CIC, can. 1246; Catechismo , 2177). «Soddisfa il precetto di partecipare alla Messa chi vi assiste dovunque venga celebrata nel rito cattolico, o nello stesso giorno di festa, o nel vespro del giorno precedente (CIC, can. 1248)» ( Catechismo , 2180).

«I fedeli sono tenuti a partecipare all’Eucaristia nei giorni di precetto, a meno che siano giustificati da un serio motivo (per esempio, la malattia, la cura dei lattanti) o ne siano dispensati dal loro parroco (cfr. CIC, can. 1245). Coloro che deliberatamente non ottemperano a questo obbligo commettono un peccato grave» ( Catechismo , 2181).

2.3. La domenica, giorno di riposo

«Come Dio “cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro” ( Gn 2, 2), così anche la vita dell’uomo è ritmata dal lavoro e dal riposo. L’istituzione del Giorno del Signore contribuisce a dare a tutti la possibilità di godere di sufficiente riposo e tempo libero che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa» ( Catechismo , 2184). La domenica e le altre feste di precetto i fedeli hanno l’obbligo di astenersi «da quei lavori e da quegli affari che impediscono di rendere culto a Dio e turbano la letizia propria del giorno del Signore o il dovuto riposo della mente e del corpo» (CIC, can. 1247). Si tratta di un obbligo grave, come lo è il precetto di santificare le feste. Ciò nonostante, il riposo domenicale può essere dispensato per un dovere superiore di giustizia o di carità.

«Nel rispetto della libertà religiosa e del bene comune di tutti, i cristiani devono adoperarsi per far riconoscere dalle leggi le domeniche e i giorni di festa della Chiesa come giorni festivi. Spetta a loro offrire a tutti un esempio pubblico di preghiera, di rispetto e di gioia e difendere le loro tradizioni come un prezioso contributo alla vita spirituale della società umana» ( Catechismo , 2188). «Ogni cristiano deve evitare di imporre, senza necessità, ad altri ciò che impedirebbe loro di osservare il giorno del Signore» ( Catechismo , 2187).

2.4. Il culto pubblico e il diritto civile alla libertà religiosa

Oggi in alcuni paesi è molto diffusa una forma di pensiero “laicista”, che considera la religione come una questione privata che non deve avere manifestazioni pubbliche e sociali. Viceversa la dottrina cristiana insegna che l’uomo deve «poter professare liberamente la religione sia in forma privata che pubblica» [5] . Infatti la legge morale naturale, inscritta nel cuore dell’uomo, prescrive «di rendere a Dio un culto esteriore, visibile, pubblico» [6] (cfr. Catechismo, 2176). Non c’è dubbio che il culto a Dio è anzitutto un atto interiore; però si deve poter manifestare esteriormente, perché allo spirito umano «risulta necessario servirsi delle cose materiali come di segni mediante i quali sia stimolato a compiere quegli atti spirituali che lo uniscono a Dio» [7] .

Non solo si deve poter professare la religione esteriormente, ma anche socialmente, vale a dire, assieme agli altri, perché «la stessa natura sociale dell’uomo esige che […] professi la propria religione in modo comunitario» [8] . La dimensione sociale dell’uomo richiede che il culto possa avere espressioni sociali. «Si fa ingiuria alla persona umana […] se si nega all’uomo il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato il giusto ordine pubblico […]. Il potere civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente riconoscere la vita religiosa dei cittadini e favorirla» [9] .

C’è un diritto sociale e civile alla libertà in materia religiosa per cui la società e lo Stato non possono impedire che ognuno agisca in questo campo secondo il dettato della propria coscienza, sia in privato che in pubblico, sempre che rispetti i giusti limiti che derivano dalle esigenze del bene comune, quali l’ordine pubblico e la moralità pubblica [10] (cfr. Catechismo , 2109). Ogni persona è obbligata in coscienza a cercare la vera religione e ad aderire ad essa; in questa ricerca può ricevere l’aiuto di altri – o meglio, i fedeli cristiani hanno il dovere di offrire questo aiuto con l’apostolato -, ma nessuno dev’essere coartato e neppure impedito. L’adesione alla fede dev’essere sempre libera, così come la sua pratica (cfr. Catechismo , 2104-2106).

«Questo è il tuo compito di cittadino cristiano: contribuire a far sì che l’amore e la libertà di Cristo presiedano tutte le manifestazioni della vita moderna: la cultura e l’economia, il lavoro e il riposo, la vita di famiglia e la convivenza sociale» [11] .

Javier López

Bibliografia di base

Secondo comandamento: Catechismo della Chiesa Cattolica , 203-213; 2142-2195.

Terzo comandamento: Catechismo della Chiesa Cattolica , 2168-2188; Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Dies Domini , 31-V-1998.

Benedetto XVI-Joseph Ratzinger, Gesù di Nazaret , Rizzoli, Milano 2007, (cap. 5, § 2).

Letture raccomandate

San Josemaría, Omelia Il rapporto con Dio , in Amici di Dio, 142-153.

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[1] San Josemaría, Amici di Dio , 150.

[2] Concilio Vaticano II, Cost. Gaudium et spes , 24.

[3] San Josemaría, Amici di Dio , 312.

[4] Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium , 10.

[5] Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae , 15; Catechismo , 2137.

[6] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae , II-II, q. 122, a. 4, c.

[7] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae , II-II, q. 81, a. 7, c.

[8] Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae , 3.

[9] Ibidem .

[10] Ibidem , 7.

[11] San Josemaría, Solco , 302.