Don Giulio Maspero: "L'Opus Dei si rivolge alle persone in mezzo al mondo"

Il sacerdote e docente di Teologia Dogmatica alla Pontificia Università della Santa Croce ha tenuto una conferenza al Castello di Urio, in provincia di Como. Nel suo intervento ha parlato di “Misericordia e laicità - Il pensiero di Papa Francesco e lo spirito dell’Opus Dei”.

Quando tornerà don Giulio? Così si è concluso l’incontro al Castello di Urio con don Giulio Maspero, sacerdote canturino che vive a Roma da anni e insegna Teologia Dogmatica alla Pontificia Università della Santa Croce.

“Misericordia e laicità – Il pensiero di Papa Francesco e lo spirito dell’Opus Dei” era il titolo dell’incontro. Maspero ha coinvolto le quasi 120 persone presenti in un dialogo svolto con scioltezza e semplicità - con umiltà, ha commentato qualcuno - e l’ora e mezza intensa e partecipata è volata via lasciando un intenso desiderio di replicare.

“Quando ero giovane – ha confidato don Giulio - pensavo che la religione fosse come la dieta: per seguirla bisogna rinunciare a ciò che più piace. Poi ho conosciuto l’Opus Dei, qui a Como, e mi ha affascinato il messaggio del suo fondatore, san Josemarìa Escrivà. Se Dio ha dato desideri grandi e belli, mi dicevo, come è possibile che possa chiedere anche di rinunciarvi? Finché un amico che frequentava l’Opus Dei mi ha detto: qui ho imparato ad amare di più mia moglie!".

"Poi da teologo ho studiato cosa è successo", ha affermato. E lo ha spiegato nei dettagli: "Nei primi tre secoli del cristianesimo, con le persecuzioni, tutto si è giocato in termini personali ed essere cristiani voleva dire essere disposti al martirio. Fino al 313, con l’Editto di Costantino. Poi con la libertà di culto alcuni hanno temuto che la fede fosse diventata troppo facile, sono andati nel deserto, hanno annunciato la fede nel Regno dei Cieli con un distacco eclatante dal mondo. Sono nati gli eremiti, poi gli ordini monastici, che annunciano questo: sono i religiosi. Nel tempo si è creato uno scollamento tra Dio e il mondo, tra il suo amore e la vita dell'uomo. E si è persa la fiducia che tutti possono trovare Dio. La materia, la vita quotidiana è diventata un ostacolo; ma per i primi cristiani non era così, erano persone comuni. Questo l'ha portato in grande evidenza il Concilio Vaticano II e molti santi hanno testimoniato che Dio si incontra nella vita quotidiana, amando il mondo appassionatamente, come ha fatto san Josemaria”.

Don Giulio ha raccontato che, quando ha ascoltato per la prima volta l’omelia che Escrivà pronunciò 50 anni fa a Pamplona e che è passata alla storia con il titolo “Amare il mondo appassionatamente”, l’ha sentita con la pancia! E’ un’omelia di cui esiste la registrazione audio e “ti entra dentro, ti appassiona e ti coinvolge”, ha detto. Ne ha citato l’inizio: “Celebriamo l'azione più sacra e trascendente che noi uomini possiamo realizzare, per grazia di Dio, in questa vita: unirci in comunione con il Corpo e il Sangue del Signore, viene ad essere per noi, in un certo senso, come scioglierci dai legami di terra e di tempo per trovarci di già con Dio nel Cielo, là dove Cristo stesso asciugherà le lacrime dei nostri occhi e dove non ci sarà morte, né pianto, né gemiti di fatica, perché il mondo vecchio sarà ormai passato. Questa verità così consolante e profonda, questo significato escatologico dell'Eucaristia, come usano dire i teologi potrebbe però essere frainteso: e lo è stato ogniqualvolta si è voluto presentare la vita cristiana come qualcosa di esclusivamente "spirituale" - spiritualista, voglio dire -, riservato a gente "pura", eccezionale, che non si mescola alle cose spregevoli di questo mondo, o tutt'al più le tollera come una cosa a cui lo spirito è necessariamente giustapposto, finché viviamo sulla terra. Quando si ha questa visione delle cose, il tempio diventa il luogo per antonomasia della vita cristiana; essere cristiano vuol dire allora andare nel tempio, partecipare alle cerimonie sacre, abbarbicarsi a una sociologia ecclesiastica, in una specie di "mondo" a parte, che si spaccia per l'anticamera del Cielo, mentre il mondo comune va per la sua strada. La dottrina del cristianesimo, la vita della grazia, passerebbero dunque, appena sfiorando l'agitato procedere della storia umana, senza entrare in contatto con esso. In questa mattina di ottobre, nel momento in cui ci disponiamo ad addentrarci nel memoriale della Pasqua del Signore, rispondiamo con un semplice no a questa visione distorta del cristianesimo”.

Questo cosa c'entra con la laicità e con Papa Francesco? si è domandato don Giulio.

"C’entra, perché Francesco, gesuita, è il Papa forse più laicale che abbiamo avuto. Con la semplicità dei suoi gesti comuni, normali, come pagare il conto e fare una telefonata, ci mostra che la vita reale non è banale, che il Signore ci assicura l'amore di cui abbiamo bisogno per amare chi abbiamo accanto, senza edulcorare la pillola e senza negare le difficoltà che tutti incontriamo".

Perché allora tanta sintonia con l’Opus Dei? "Perché l’Opus Dei si rivolge ai laici, alle persone in mezzo al mondo, e “laico” deriva dal greco laós, popolo: il laico è il cristiano modello base, quello la cui identità viene definita dalla relazione, non da regole o abiti religiosi; dal rapporto con chi ha accanto".

Questa scoperta è ciò che ha appassionato don Giulio e l’ha portato a dedicare la sua vita a vivere questa missione in mezzo al mondo, prima come fisico e poi come sacerdote. Non l’avrebbe mai pensato, ma alla fine ha capito che il Signore gli chiedeva proprio questo, e alla fine è la stessa cosa: da sacerdote e teologo cerca l’incontro con Dio nella sua vita quotidiana, amando il mondo appassionatamente.

Ecco perché per Papa Francesco la misericordia è essenziale: perché è ciò che veramente permette di incontrare Dio nella vita quotidiana. Essere cristiani non significa essere capaci di grandi prestazioni, ma vuol dire vivere le relazioni con misericordia. Troppe volte ci misuriamo in base a quello che sappiamo fare, ai risultati, e anche di fronte a Dio facciamo lo stesso. Ma il primo canonizzato fu proprio il buon ladrone, buono non per la sua vita, era un ladrone, un mascalzone incallito tanto da meritare la crocifissione, ma si conquistò il Cielo perché chiese perdono. La nostra società rischia di diventare disumana se non impregniamo le relazioni di misericordia, di capacità di perdono, di autenticità, a cominciare dalle relazioni più prossime, quelle familiari e amicali, in cui non dobbiamo permettere che entri una logica del successo o la cultura dello scarto, come la chiama il Papa.

In tutto ciò risalta pienamente la libertà. Il Papa non vuole imporre nulla perché sa che i figli hanno bisogno di scegliere liberamente: propone l'autorevolezza dell'amore, non l'autorità imposta. Voler evitare che la gente sbagli non serve, serve aiutare a rialzarsi.

Si sarebbero moltiplicate le domande ma don Giulio doveva rientrare a Roma: le numerose persone l’hanno salutato come con un grande abbraccio e si sono congedate dal Castello piano piano, dopo una buona merenda e con l’immagine della bellezza negli occhi: la via pulchritudinis a cui lo stesso don Giulio ha accennato e che sarà al centro degli incontri del prossimo maggio.