«Il Codice è satanico»: così parlò Ullate, l'anti Dan Brown

Capo d’accusa: Un libro libertino che nega l'esistenza di Dio. José Antonio Ullate Fabo, mite giornalista e scrittore, cattolico di Navarra, ha assunto sulle sue spalle il grato compito di stroncare il Codice da Vinci, planetario bestseller di Dan Brown, rilevandone, afferma, «gli innumerevoli, grossolani errori» e la «spiritualità da bar».

Ullate ha scritto «La verdad sobre el Codigo da Vinci» (La verità sul Codice da Vinci, pubblicato in Spagna dalle edizioni LibrosLibres) ottenendo a sua volta un largo successo sul mercato spagnolo . In Italia uscirà a maggio per l'editore Sperling & Kupfer.

Ullate sostiene che la spinta a scrivere è nata dalla sua volontà di chiarire gli equivoci provocati dal bestseller e così instaurare un dialogo con i lettori di Dan Brown, soprattutto quelli cattolici che si sono lasciati sedurre dall'americano. «Mi ha colpito - dice - l'ingenuità dimostrata dagli innumerevoli lettori cristiani attratti dal libro, ritenuto un ritratto veritiero del primo Cristianesimo e della Chiesa cattolica, un'operetta innocua. E' solo un romanzo, sostengono gli ingenui, e via a raccomandare il libro ad amici e conoscenti. Ma proprio dall'ingenuità nasce il danno maggiore, perché un romanzo può far vacillare la fede in gente che si pone di fronte alla religione in modo superficiale. Il lettore di oggi è meno critico rispetto ai lettori delle precedenti generazioni».

Il romanzo, spiega José Antonio Ullate, si fonda su credenze esoteriche, su una forma di panteismo gnostico che nega l'esistenza di un Dio trascendente, su un'etica libertina che inneggia alla libera sessualità: ognuno può fare ciò che vuole del suo corpo, alla ricerca del massimo piacere. Un culto della vita che lascia ai margini la moralità. Nel Codice, Gesù non ha natura divina, è sposato con Maria Maddalena ed ha discendenza, la Chiesa è un'organizzazione maschilista nata per occultare la verità su Cristo, i Vangeli sono fabbricati su ordine dell'imperatore Costantino per ragioni di potere.

«Poi si parla del Santo Graal, dei Merovingi, dei Templari, del Priorato di Sion, di Leonardo da Vinci, della caccia alle streghe, dell'Opus Dei, fino ad arrivare a Mitterrand. Ne uscirà un filmone spettacolare con Tom Hanks come protagonista...». Ullate si accende di indignazione pensando alla prossima pellicola hollywoodiana. «Tutti questi argomenti - afferma - ridotti a un guazzabuglio trattato in modo superficiale e con volgari errori dovrebbero mettere in guardia il lettore cristiano che non si accorge come, dietro un'impalcatura cosi debole, si nasconde la volontà sistematica di portare un attacco al cuore del Cristianesimo. Non sanno che dietro l'astuto thriller si nasconde la voglia di distruggere la dottrina cattolica e la storia della Chiesa».

Lo storico e sociologo americano Philip Jenkins, nel libro “Anticattolicesimo, Ultimo pregiudizio accettabile”, ritiene che il romanzo di Brown sia un esempio di pregiudizio anticattolico. Che cosa sarebbe accaduto, se Dan Brown avesse scritto un libro contro l'Islam con la stessa potenza di fuoco utilizzata dal Codice da Vinci contro il Cristianesimo? «Non posso immaginare - risponde con un amaro sorriso - che cosa sarebbe successo al signor Brown se avesse offeso l'Islam come ha offeso Gesù e il Cristianesimo. La reazione dei musulmani sarebbe stata molto violenta. I dogmi religiosi sono intoccabili e la loro difesa può non essere razionale. Comunque, sono sicuro che nessuno avrebbe osato scrivere un libro del genere per timore delle reazioni, anche fisiche».

Ullate non è particolarmente contento della situazione politica in Spagna. In una recente intervista ha definito il Codice da Vinci «letteratura alla Zapatero», riferendosi alle iniziative del capo del governo spagnolo a proposito dei matrimoni gay, il divorzio, l'aborto, le ricerche sugli embrioni. «Sono colpito come cattolico - afferma - e disgustato perché queste riforme laiciste sono il sintomo di una crisi morale e intellettuale. Si va verso la distruzione della famiglia e della istituzione matrimoniale».

Mino Vignolo // Corriere della sera