Le Monde studia il «Codice Da Vinci»

Il supplemento di “Le Monde” del 29 dicembre 2004 dedica quasi due pagine al fenomeno editoriale rappresentato dal romanzo dell’americano Dan Brown, «Il Codice da Vinci».

Nicolas Weill vede in questo successo commerciale la conferma del gusto di un certo pubblico per il mistero e il complotto («Il complotto, chiave del “Da Vinci Code”»): «Moltiplicando nel suo racconto gli “effetti realistici” (per esempio l’inserimento in una fiction dell’Opus Dei), mantenendo una certa ambiguità sul carattere veridico di alcuni particolari, spingendo molti lettori a cercare “ciò che può esserci di vero”, il testo può essere ricondotto a un altro filone rispetto a quello della pura creazione letteraria: quello delle mistificazioni che, benché false e riconosciute o denunciate tali, continuano a essere prese sul serio da alcuni». Nicolas Weill cita a questo proposito il giornalista anticlericale Leo Taxil, il quale, alla fine del XIX secolo, pretendeva di svelare le pratiche “luciferine” dei massoni, e il famoso “Protocollo dei saggi di Sion”, «opuscolo che pretendeva di riportare alla luce i documenti segreti di una cospirazione ebraica per la conquista del mondo» (in realtà si trattava di un testo scritto dalla polizia in funzione antisemita). «Certo, il gioco con la realtà operato dal “Codice Da Vinci” è meno spregevole, poiché si presenta subito come un romanzo. Nondimeno esso incoraggia e allo stesso tempo si fonda sul gusto tutto contemporaneo per la “teoria del complotto”, che cerca di spiegare i grandi avvenimenti con l’azione occulta di una setta dalle ramificazioni internazionali».

Qui viene citato il filosofo Marcel Gauchet, «che ha sostenuto la tesi paradossale che la moda del complotto e delle società segrete accompagna il movimento stesso del “disincanto del mondo”. E questo perché l’immaginario della cospirazione aveva per conseguenza che coloro che vi credevano aderivano implicitamente all’idea che la storia è fatta dagli uomini e non dalla Provvidenza. A lungo termine, lo stabilizzarsi della democrazia doveva metter fine a questo genere di fantasmi».

In un altro articolo («La leggenda nera dell’Opus Dei»), il cronista religioso di “Le Monde”, Henri Tincq osserva: «Che Dan Brown abbia utilizzato l’Opus Dei come materiale per la sua trama non ha meravigliato nessun lettore avveduto, né i membri di un’Opera stanca di essere oggetto di stereotipi quanto mai logori. Sin dalla sua fondazione, nel 1928, da parte di un prete spagnolo, Josemaría Escrivá, canonizzato nel 2002 da Giovanni Paolo II, il filone ”Opus Dei-società-segreta” non si è mai esaurito. Eppure l’organizzazione è presente nei cinque continenti (86 000 membri). Essa gode dell’approvazione del papa, che la ha eretta, nel 1982, in “prelatura personale”, uno statuto su misura ma previsto dal diritto della Chiesa. Nonostante questo, l’Opus Dei vive e prospera, da settant’anni, con questa reputazione sulfurea». E l’autore aggiunge, facendo riferimento ai primi passi dell’Opus Dei in Spagna: «Che i membri della “Obra” siano dei laici, che non portano alcun segno distintivo religioso (…) è talmente originale e ‘sovversivo’ che l’Opus Dei ecciterà a lungo l’immaginazione, susciterà controversie e opposizioni (…) L’Opus Dei ha nel suo seno in Spagna ingegneri, medici, professori, funzionari ecc. Ed allora ecco nascere un nuovo processo per “cospirazione”: la “Obra” cerca di infiltrarsi negli ambienti intellettuali, politici, economici, di “introdurre elementi sobillatori” in tutti i circoli di affari e di potere. Si aggiunga a tutto ciò l’ostinazione messa da Josemaría Escrivá agli inizi per far riconoscere la sua opera dal Vaticano di Pio XII (1939-1958), e tutti gli ingredienti del “mistero” sono riuniti: l’Opus Dei è una società segreta ed elitaria, sottomessa al Vaticano, grande centro di tutti gli intrighi e ricchezze. Dal XVI secolo, i Gesuiti sono perseguitati da questa stessa leggenda nera (…). L’Opera è anche considerata molto ricca (…) Il suo potere non avrebbe limiti. Gli “opusdeisti” si sarebbero infiltrati nell’apparato statale in Spagna, nell’esercito, nelle banche, nelle industrie, nella stampa. Essi avrebbero manipolato il papa, che non è avaro di favori nei loro confronti, avrebbero preso il potere ai vertici della gerarchia cattolica. Nel conclave che eleggerà il successore di Giovanni Paolo II, i vaticanisti contano già i cardinali più favorevoli all’Opus Dei».

Per Henri Tincq, «la realtà è più deludente. Gli uomini e le donne dell’Opus Dei si impegnano sulla base di un consenso libero. Le associazioni anti-setta non sono mai riuscite a far figurare l’Opera nelle loro “liste nere”. (…) In politica, l’Opus Dei si porta dietro come un peccato storico la partecipazione di sette alti funzionari membri dichiarati dell’Opera nei governi franchisti, tra il 1957 e il 1972. Ma, per il resto, quanta esagerazione! E` fare molto onore ai servizi di comunicazione dell’Opera il confonderli con agenzie di infiltrazione dei media degni della vecchia Unione Sovietica. Questa leggenda nera è stato paradossalmente lo stesso Opus Dei a crearla, con il lasciar liberi i suoi membri. Ogni membro infatti è libero di partecipare a movimenti politici o associazioni».

Henri Tincq conclude che la risposta alle domande che ci si può porre sull’Opus Dei «non è da trovarsi né nella cultura del segreto, né nella propagazione di errori, che, per quanto ripetuti cento volte, non hanno mai fatto una sola verità».

Le Monde, supplemento del 29 dicembre 2004