Il codice da Vinci, un... Opus che fa discutere

Il romanzo di Dan Brown è da mesi un caso letterario.

Il "Codice Da Vinci" è un romanzo di oltre 500 pagine, che si definisce thriller ed ancora prima di iniziare recita così: "Questo libro è un'opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell'autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è assolutamente casuale". Bisogna partire da qui e tenere a mente questa frase durante l'intera lettura del romanzo.

Dan Brown, un bianco a dispetto del cognome, è infatti autore astuto ed abile di un altro capitolo dell'interminabile saga dei romanzi storici, colti e "polizieschi". Si può tranquillamente iscrivere la sua opera nel filone di Umberto Eco o di Arturo Perez Reverte e, se la lettura del romanzo procede spinta solo da questa visione "romanzesca", allora si giunge al fondo con un gradevole ricordo ed un soddisfacente appagamento del proprio istinto di "detective della cultura".

Altra questione sorge se si tenta di dare sapore di realtà alla trama ed alle tesi esposte. Allora la faccenda assume ben altro spessore. L'attacco alle fondamenta del cattolicesimo, a tutta la struttura ecclesiastica ed, in particolare, all'Opus Dei possono immediatamente diventare non più il pretesto narrativo, ma essere letti come un reale e feroce insulto alla fede ed alle sue basi più antiche. Punti di vista, angolature che possono trasformare un piacevole romanzo in un intollerabile insulto, al punto tale che le polemiche e le critiche, anche molto feroci, si sono moltiplicate in modo direttamente proporzionale al numero di copie vendute. Una veloce ricerca su Internet ha consentito a chi scrive di scoprire un mondo ignoto, con forum di discussione molto frequentati ed "accalorati" nella stroncatura o nella difesa accorata del volume.

La trama, che fa perno sull'antica ed infinita ricerca del Sacro Graal, traccia un percorso che dalle Crociate attraversa tutta la storia dell'Occidente cristiano sino ai giorni nostri. È una storia avvincente, ricca di citazioni esoteriche e ben congegnata dal punto di vista narrativo, seppure con qualche debolezza strutturale (valga per tutte la motivazione, invero modesta, che ha portato la protagonista a rescindere ogni rapporto col nonno, unico parente superstite e per di più uomo ricco e potente) o storica (difficile credere che davvero i roghi dell'inquisizione abbiamo consumato 5 milioni di donne); il finale è consolatorio, tutt'altro che rivoluzionario e, soprattutto, disinnesca gran parte degli ordigni spirituali disseminati lungo la storia.

È bene segnalare che l'Opus Dei ha pubblicato un comunicato stampa estremamente critico nei confronti dell'opera e segnatamente contro le pretese di "verità storica" cui ha fatto riferimento la campagna promozionale del volume, che si può trovare sul sito www.opusdei.it anche in traduzione italiana, unitamente ad una corposa rassegna stampa. Vale anche qui un concetto che è alla base di ogni relazione con la parola stampata: chi non ama non acquisti, chi acquista legga fino in fondo prima di giudicare, con la mente sgombra dal pregiudizio. In definitiva, e si torna all'inizio, questa è solo un'opera di fantasia e la realtà la supera sempre. Infatti l'autore non parla mai né di Sindona né di Marcinkus.

Andrea Campane // Varese News